
Julian Schnabel racconta la storia di Jean-Dominique Bauby, capo redattore di Elle che, completamente paralizzato e incapace di parlare dopo un infarto, ha dettato il suo diario utilizzando la chiusura di una palpebra.
Lo scafandro e la farfalla è un viaggio attraverso il dolore, la malattia e la voglia di vivere raccontato come un quadro. È la storia vera – raccontata in un diario – di Jean-Dominique Bauby, capo redattore di Elle, che dopo un infarto scopre di essere completamente paralizzato e incapace di parlare. L’unico muscolo che riesce a controllare è quello di una palpebra e così, dopo aver appreso la tecnica, detta le sue memorie una lettera alla volta chiudendo la palpebra. Bauby è morto a 45 anni pochi giorni dopo aver concluso il suo lavoro.
Non è un caso che a girare Lo scafandro e la farfalla sia stato Julian Schnabel, pittore miliardario esposto nei più importanti musei del mondo e regista interessato agli artisti schiacciati dalla sofferenza come Basquiat o il Reinaldo Arenas di Prima che sia notte. È quasi ovvio che girare un film come questo sia anche una sfida, dal momento che il protagonista è bloccato in un letto d’ospedale o su una sedia a rotelle condannato alla fissità espressiva di una smorfia involontaria. Così come è altrettanto quasi ovvio che dietro una storia terribile come questa ci sia la voglia di vivere oltre ogni possibile limite. Che forse è la sfida più grande che un essere umano possa affrontare perchè vuol dire non arrendersi al proprio destino e ai limiti fisici. Ma si sa che un film non è fatto solo di contenuti ideali e messaggi ma di immagini, suoni, espedienti tecnici, sorprese, dialoghi, azione. Da questo punto di vista Schnabel trova un aiuto nel fatto che quello di Bauby è un libro straordinario e non solo per le condizioni in cui è stato scritto. In quelle parole fissate con fatica e dolore c’è tutto il mondo emotivo di un ottimo narratore. Così si parla dei figli, del padre, della sua condizione e dell’universo che si manifesta di fronte alla farfalla imprigionata in uno scafandro di dolore. Tutto cio’ permette a Schnabel di muoversi nella struttura narrativa con flashback e scivolamenti narrativo-temporali che alimentano la trama e la narrazione. Mathieu Amalric, che interpreta Bauby, è bravissimo, come bella e originale è la fotografia di Janusz Kaminski, un fedelissimo di Steven Spielberg.
Paolo Biamonte