La storia di "Mortal Kombat" è molto semplice e ruota intorno a un torneo di arti marziali che si svolge in un'isola misteriosa, il riferimento al classico "I tre all'operazione Drago" è esplicito e, anzi, si può dire che siamo di fronte a un'interpretazione in chiave fantasy del film con protagonista il mitico Bruce Lee. Il film si differenzia da subito con il videogame per l'assenza di sangue, l'intento è quello di avere sempre e comunque un tono leggero e spiritoso, le esplosioni di violenza non mancano ma sono sempre attenuate da situazioni divertenti e prive di dettagli macabri. Il vero anfitrione di "Mortal Kombat" poi è il celebre Christopher Lambert, il Dio del tuono Raiden, che compare in maniera casuale lungo tutto il film in un costume assurdo, sembra in pigiama e accappatoio (mancano solo le ciabatte), e con una tintura bianco cenere per i lunghi capelli, una visione che difficilmente si dimentica grazie anche a una serie di frasi inutili profuse con saggezza (?) ai protagonisti e, notare, senza mai muovere un dito. A suo modo un grande.
"Mortal Kombat" è il campo di prova per scenografie ed effetti speciali in CGI inediti per l'epoca, oggi paiono primitivi, ma si nota la voglia continua di trovare in ogni inquadratura nuove scelte visive, il tutto a discapito della sceneggiatura, debole e risaputa, e costruzione inesistente dei personaggi che sono tratti di peso dal videogame. Il cattivo Shan Tsung è Cary Hiroyuki Tagawa, attivissimo negli anni 90 ("Resa dei conti a Little Tokyo", "Sol Levante") sempre in medesimi ruoli da villain, uno stregone che ha ingannato la morte e in grado di assorbire le anime degli avversari, l'attore ha un gran fisique du role e si limita a contorcere il volto, spesso dritto in camera, e a lanciare minacce ai primi che capitano. I tre protagonisti principali sono invece gli eroi (umani) della situazione e non brillano di particolare carisma, a parte forse il novello Bruce Lee di Robin Shou nel ruolo di Liu Kang che appare sempre con i capelli fonati, suoi però sono i migliori combattimenti della pellicola, in particolare gli scontri con i ninja Sub Zero e Reptile al ritmo di musica techno (metal) davvero tamarra e molto anni 90 (c'è anche gente del calibro di Fear Factory, Napalm Death, Orbital, ecc.) e anche per questo, a distanza di tempo, con un suo particolare fascino. Le coreografie marziali sono decenti, non all'altezza dei film di Hong Kong dell'epoca, ma ben montate, inoltre non indugiano più di tanto sul wire-work, nonostante il contesto fantasy, mentre sono gradevoli i numerosi inserti in computer grafica come il serpente che sbuca dalle mani di un ninja.
L'attore di cinema di arti marziali Johnny Cage di Linden Ashby invece lascia molto a desiderare come combattente, il personaggio si salva in corner con l'ironia, si presenta sempre vestito con improbabili pantaloni a pences e sfodera diverse gag imbarazzanti (la scena delle valigie!) che proprio per questo fanno (quasi) ridere. La bionda Bridgett Wilson sostituisce l'indisponibile Cameron Diaz, pare per un infortunio nel corso di allenamenti marziali pre-produzione, nella parte dell'agente speciale Sonya Blade, carina ma per il resto poco convincente. Incantevole invece la bellezza latina di Talisa Soto, poco sfruttata nelle vesti della doppio giochista guerriera Principessa Kitana. Non poteva mancare all'appello uno dei mostri caratteristici della saga, il principe Goro, mezzo uomo e mezzo drago (?), munito delle proverbiali quattro braccia, il make up a dire il vero è anche troppo gommoso ma pazienza. Scene iniziali e finali girate nei pressi della antica città sacra di Atthaya poco distante Bangkok, anche le spiagge dell'isola che si intravedono sono in Thailandia. Un film molto leggero, innocente, come un teenager che torna da scuola senza voglia di fare i compiti, non faceva certo presagire la successiva prova di Anderson: il feroce e bellissimo "Punto di non ritorno" (1997).
Titolo Originale: "Mortal Kombat"
Paese: U.S.A.
Rating: 6/10