Split è il nuovo thriller di M.Night Shyamalan, un film che penetra nei misteri della psiche umana …
Tit. Originale: Split
Paese: USA
Rating: 6/10
Tre ragazze vengono rapite nel parcheggio di un centro commerciale da Kevin, un uomo che soffre di disturbi dissociativi della personalità. La dottoressa Fletcher da diverso tempo tenta di curare l’instabilità di Kevin, ma ignora che nel paziente convivono decine di personalità nascoste, alcune di loro con istinti molto pericolosi. Le ragazze tramortite con un narcotico si risvegliano in un sotterraneo in balia del loro carnefice, in attesa di un destino imprecisato.
Il buon successo del precedente horror The Visit ha indotto il regista americano di origini indiane Shyamalan a replicare la collaborazione con il produttore Jason Blum, la sua Blumhouse ormai non sbaglia un colpo in termini commerciali da anni, verso un’altra opera a basso budget senza restrizioni per la creatività dell’autore di The Village. Rinfrancato dai flop blockbuster del passato recente (After Earth), Shyamalan ricerca la dignità artistica dei primi tempi, con piccole storie e ambientazioni raccolte in pochi spazi, un cinema quasi intimista dai risvolti inquietanti che da sempre lo avvicinano al genere horror. Split però è per sua natura spiazzante, non di facile collocazione al punto da farlo rientrare nella generica etichetta “thriller”, questa sua natura mutevole è anche motivo di incertezza narrativa e spesso lascia trasparire dei dubbi sulle finalità della pellicola.
Gli impenetrabili misteri dei recessi mentali portano questa volta a una moltiplicazione dei comportamenti, una realtà scaturita dal buio della violenza capace di provocare veri e propri demoni all’interno dell’anima, la nascita di un’orda di forze contrastanti unite dalla sofferenza. Il mondo di Split è composto da inferni personali, quello di Kevin è ormai sul punto di esplodere per invadere la realtà, o meglio, l’impurità delle stupide persone che lo circondano e minacciano. Shyamalan ribalta il concetto di “Male” per mezzo del personaggio interpretato da James McAvoy, bravo abbastanza a incarnare la serie di personalità multiple di Kevin, anche troppe visto che la cortina fumogena messa in atto confonde più che affascinare. Split ha in serbo la graziosa, e altrettanto complicata, Casey dell’emergente Anya Taylor-Joy (la protagonista dell’acclamato The Witch), la ragazza imprigionata con le sue amiche (ri)vive la condizione di persona “sfasata” che ha conosciuto il dolore e la perdita dell’innocenza, condivisi con lo spettatore per mezzo di flash-back. Eventi che l’hanno portata a essere una solitaria, fuori sincrono rispetto alle coetanee.
Dato l’argomento pare impossibile non citare il Norman Bates del maestro Hitchcock, puntuali arrivano dei rimandi che si incrociano con le suggestioni delle opere di De Palma che, come notorio, è cresciuto a pane e Psyco. Una delle personalità di Kevin, Patricia in particolare, sprizza Bates Motel da tutti i pori, l’inquadratura di una tromba delle scale a forma di spirale poi è un puro omaggio al cinema classico del brivido (psicologico). Come Hitchcock, e tanti altri, il regista Shyamalan non rinuncia al vezzo di un piccolo cammeo in Split, che diviene presto un’opera claustrofobica per via dell’ambientazione carceraria di un angusto appartamento sotterraneo, il luogo degli incontri tra vittime e carnefice non è certo una novità per il genere. I contatti esterni sono collegati con la figura della dottoressa Fletcher con il volto di Betty Buckley, già apparsa nel precedente “E venne il giorno”, ora anziana attrice forse qualcuno la ricorda bella e bionda nella parte di Miss Collins in Carrie lo sguardo di Satana (1977), il suo primo film.
Il fascino del cinema di Shyamalan è che si tratta, in fondo, di un enorme preliminare, a dire il vero può anche essere visto come un limite, una costruzione portata verso un culmine finale che di solito si rivela a sorpresa, non fa eccezione Split: le atmosfere divenute cupe e violente dentro a un contesto questa volta inequivocabile di stampo horror, da apprezzare la scarsa propensione all’utilizzo di (pochi) effetti speciali digitali, aprono la strada a una conclusione che risulta personale e straniante. Il meccanismo sembra piacere molto al pubblico visto il grosso successo (maggiore di The Visit), un coup de theatre di sicuro effetto (autoreferenziale) ma anche imprevedibile incastonato con i titoli di coda.