Nami, una giovane game designer colpita da strani incubi, raggiunge accompagnata dal suo ex fidanzato una vecchia casa ereditata da poco.
L’intento dei ragazzi è quello di trovare degli spunti per il videogioco che stanno sviluppando insieme, Nami scopre che i suoi incubi sono collegati alla casa in cui viveva il padre, un bizzarro pittore con un tremendo segreto da nascondere.
Uno dei primi e lucidi horror ipertestuali sulla fascinazione dei videogame mischiata con il filone in presa diretta alla "The Blair Witch Project", "Il fiore della vendetta" sembra davvero il prolungamento live-action di un videogioco giapponese che non manca di registrare inevitabili contro-indicazioni, da ricercare in una noia di fondo che costringe lo spettatore a presenziare a lunghe perlustrazioni di una casa diroccata, del tutto simile a quella vista nel primo "Resident Evil" (Capcom). La scansione dei tempi non è il pezzo forte della pellicola, nonostante duri meno della canonica ora e mezza, i momenti di false attese nella prima parte pesano non poco anche se è apprezzabile la creazione di un’atmosfera decadente e marcia. La realtà riprodotta si confonde su diversi piani paralleli per mezzo di differenti stili di ripresa, spiazza non poco l’avvicinamento iniziale alla casa immersa in una foresta isolata dove la vegetazione assume colorazioni innaturali come in un videoclip, una connotazione che si accentua verso l’allucinata conclusione.