Viaggio in Paradiso (2011)

Aggiornato il Giugno 18, 2012 da Il Guru dei Film

viaggio in paradisoMel Gibson in un action-pulp in salsa messicana.

Driver viene catturato dalla polizia di confine messicana con una refurtiva milionaria, i guai sono solo all’inizio visto che viene sbattuto in una affollata e singolare prigione: El Pueblito. Il carcere è un posto infernale in cui a comandare sono violenza e corruzione ma non mancano le sorprese, al suo interno uomini e donne convivono in un microcosmo ristretto molto simile a una baraccopoli dove, oltre a derelitti di ogni genere, si scorgono anche dei bambini. Driver, suo malgrado, si ambienta in fretta e tenta di avvicinare i leader criminali che regolano ogni movimento del carcere, per farlo avrà bisogno dell’aiuto di un bambino di 10 anni, su cui grava un triste destino legato alla salute del capo Javi: il ragazzino è in attesa di subire un trapianto di fegato, utile al malvagio criminale.


Meglio lasciare da parte le ultime e tragi-comiche vicissitudini (private) di Mel Gibson, episodi di sfuriate e ubriacature moleste di vario tipo, situazioni che hanno determinato in qualche modo l’andamento non proprio brillante della recente carriera dell’attore e concentrarsi, una volta tanto, su una buona prova che riesce quasi a rimandare ai fasti scoppiettanti di un tempo, quelli briosi pieni di azione e ironia vicini alla serie “Arma Letale”, per merito di un film forse non trascendentale ma insolito e scatenato come “Viaggio in Paradiso”, il titolo italiano tradisce l’originale “Get The Gringo”, molto più evocativo nel suo spirito (mexican) pulp. Il film è scritto e prodotto dallo stesso Mel Gibson che si cuce su misura il personaggio del criminale Driver, un tipo con la battuta sempre pronta e un passato da rapinatore, un perdente con il cuore d’oro che nonostante l’ennesima brutta avventura in cui si ritrova può tentare il colpo della vita. A partire dal movimentato prologo, un bell’inseguimento lungo il confine presidiato di Stati Uniti e Messico, si sente la voce off di Driver che, progressivamente, viene con saggezza abbandonata a favore di una discesa in un mondo non proprio attraente ma veritiero e, a suo modo, affascinante.

Per la regia Gibson sceglie una sua vecchia conoscenza, Adrian Grunberg, noto come regista delle seconde unità e assistente regista di “Apocalypto” e “Fuori Controllo”, di e con Mel Gibson, oltre che di altre pellicole del calibro di “Man on Fire”, “Traffic”, “Amores Perros” che denotano tutte un’ambientazione messicana che ritorna anche in “Viaggio in Paradiso”. Per Grunberg si tratta del primo vero esordio alla regia, un buon film che trasuda realistica durezza e tanta ironia che lascia ben sperare per le prossime prove. A colpire con favore sono i numerosi personaggi che ruotano intorno a Gibson, spesso Driver si ritrova testimone di sconcertanti situazioni, tutti ben caratterizzati e interpretati da uno stuolo di caratteristi, in gran parte di origine messicana, in stato di grazia. Tra gli attori occidentali spicca Peter Stormare nel ruolo di un boss americano, dall’aspetto elegante ma con pochi scrupoli, che rivuole indietro i soldi rubati da Driver, il problema é che il malloppo ora é in mano a poliziotti corrotti e boss messicani.

viaggio all'inferno

La prima parte di pellicola si concentra all’interno del carcere El Pueblito, un’immersione in una condizione inedita di convivenza forzata e sui generis che non si stenta a credere vicina alla realtà, in pratica centinaia di persone vivono ammassate in un edificio nel quale l’unico divieto è quello di evadere, dentro si può compiere tutto o quasi, dal portare le armi, consumare droga e fare sesso, una sorta di compromesso indirizzato a mantenere stabile il sovraffollamento e a tenere buoni i criminali che delinquono in una “zona franca”, fantasioso forse ma nel Messico fuori controllo degli ultimi anni (la cronaca nera recente ormai supera la più trucida immaginazione) non sorprende più di tanto. Grunberg è abile a immortalare significativi episodi, con Driver protagonista, che descrivono una vita cruda e grottesca, i clienti che si vanno a “sparare” in vena la dose quotidiana di droga, nella quale emerge la sotto-trama del ragazzino destinato al trapianto di fegato accudito dalla madre che si prostituisce la sera, nei locali del carcere destinati ai detenuti di riguardo, anche in questo caso arrivano momenti a loro modo divertenti ed evocativi.

“Viaggio in Paradiso” si concede, procedendo verso la conclusione, a sequenze sempre più spettacolari e meno realistiche, cosa che non guasta affatto, il divertimento ci guadagna e Mel Gibson si scatena, la curiosità sale per il doppiaggio originale, nell’imitazione di Clint Eastwood in una delle più surreali telefonate viste/sentite al cinema di recente. La vicenda si sposta anche fuori dal carcere per poi rientrare con effetti esplosivi, nel frattempo aumentano le sparatorie e i morti ammazzati: davvero bello lo scontro a fuoco nel bel mezzo del carcere con dettagli splatter insistiti e spettacolari. La vena pulp del film si intensifica in una scena di tortura esilarante con una trovata stilistica, lo stacco di montaggio su un cofano di macchina rossa, a dir poco notevole e beffarda. Il finale si può intuire ma è ben congegnato, complesso e sempre giocato su un ritmo spedito, dovuto a una sceneggiatura ben oliata che gioca con i personaggi in una resa dei conti al sangue sempre con il sorriso stampato sulle labbra. Mel Gibson, una (piccola) riscoperta.

Tit. Originale: “Get The Gringo”

Paese: USA

Rating:7/10