Aggiornato il Giugno 3, 2014 da Il Guru dei Film
L’ultimo grande western all’italiana girato da Enzo G. Castellari.
Finita la guerra di secessione il pistolero Keoma ritorna al suo vecchio paese, ad attenderlo un clima di terrore portato da Coldwell, un ex militare a capo di una banda, che dispone con tirannia della popolazione sfiancata da un’epidemia di peste. Keoma scopre che anche i suoi tre fratellastri sono al soldo di Coldwell ma l’uomo è pronto a regolare i conti con tutti coloro che usano violenza per reprimere la giustizia e la libertà.
Il western italiano è ormai prossimo all’esaurimento dopo circa 10 anni di sfruttamento intensivo, nessun altro genere (in Italia) vanta(va) un tale numero di pellicole prodotte, manca solo l’ultima spallata che arriva con “Keoma”, il bacio della morte, dai più considerato come l’ultimo capolavoro del filone. In seguito giungono sempre meno titoli e mai dello stesso livello dell’opera di Castellari che, all’epoca, è nel pieno della carriera di action-director. Per il regista il 1976 è l’anno di un altro grande film “Il grande racket” ma “Keoma”, a detta dello stesso Castellari, è forse il suo migliore e tra i più ispirati e originali del western all’italiana. Da alcuni anni Castellari utilizza Franco Nero nei suoi film, come “La polizia incrimina, la legge assolve” e”Il cittadino si ribella”, che ritorna con il personaggio Keoma al genere che lo ha lanciato grazie ai fasti di “Django” (1966).
Il Keoma di Franco Nero è un mezzosangue nato da un padre bianco e una donna indiana, nel corso dei film tornano ricorrenti dei flashback che si materializzano a occhi aperti per il protagonista che si rivede da bambino, nelle prime scene il protagonista colpisce da subito per l’aspetto fiero di una lunga chioma bionda accompagnata da una folta barba, i vestiti da indiano e il petto nudo sono il corollario della nascita di un eroe-icona per l’intero genere, lo stesso nome Keoma risulta evocativo. La pellicola denota un taglio dark e opprimente, per certi versi soprannaturale visto che Keoma parla più volte con la Morte (Gabriella Giacobbe), una vecchia malconcia che trascina un carretto e sembra provare pena per l’umanità, la vicenda è segnata dalla violenza e l’ingiustizia e forse l’eroe può essere il rimedio a una situazione che la stessa Grande Falciatrice fatica ad accettare. Con grande invadenza, intanto, arriva la colonna sonora dei fratelli De Angelis con ballate dure e taglienti a volte cantate in un inglese maccheronico che però trasudano fascino e senso epico.
Le ambientazioni in esterni sono dominanti e sono tutte tratte da scenari italiani, la produzione ha usato gli imponenti paesaggi di Campo Imperatore (Abruzzo) e i teatri Elios Studios di Roma, la vicenda è tratta da un’idea di Luigi Montefiori, altra colonna del cinema di genere italiano, che si immerge nel dramma scomodando anche lo spettro della peste che affligge gli abitanti del villaggio mentre a primeggiare resta il tema centrale dell’astio tra Keoma e i suoi tre fratellastri, tra cui si scorge un giovane Orso Maria Guerrini (per i più distratti è il Sig.Moretti della pubblicità della nota birra), mentre il Coldwell di Donald O’Brien è il classico villain che non può mancare in un western italiano. William Berger, altro nome importante per il genere, è Shannon, il padre di Keoma, i due hanno sulla veranda di casa un bellissimo dialogo che guarda al passato e all’amarezza delle scelte che la vita può comportare. Il personaggio del “negro” interpretato dal mitico Woody Strode (C’era una volta il west, I professionisti), apostrofato più volte così in diverse situazioni, conferisce ulteriore lustro a un film che tratta i temi scottanti del razzismo con crudo realismo e nessuna consolazione.
Castellari dissemina le proverbiali scene d’azione con grande classe e ritmo, le sparatorie sono tutte riprese con movimenti fluidi e un montaggio frenetico e preciso, inoltre emergono tocchi personali come l’inquadratura delle dita di una mano che si abbassano nel conteggio per mostrare le vittime designate sullo sfondo. Alcune immagini restano scolpite come la crocefissione di Keoma a una ruota di carro nel centro del villaggio, la sparatoria finale con il sonoro degli spasmi della donna incinta interpretata da Olga Karlatos (la mitica attrice trafitta nell’occhio di “Zombi 2”) e i ralenti tipici del regista fanno precipitare dentro una dimensione quasi metafisica. Keoma è lo spirito selvaggio della libertà.
Paese: Italia
Rating: 9/10