Aggiornato il Marzo 7, 2013 da Il Guru dei Film
Leatherface è ancora vivo a brandire la sua motosega da qualche parte nel Texas, questa volta in 3D.
La ventenne Heater scopre che i suoi genitori le hanno sempre mentito, non è la loro figlia naturale, è stata adottata, una scoperta giunta dopo avere ereditato una casa nel profondo Texas.
La ragazza, accompagnata dal fidanzato e una coppia di amici, giunge in Texas per le pratiche legali e non crede ai suoi occhi: la casa è una ricca villa coloniale circondata da un vasto parco recintato. Heather cerca di sapere di più sul suo passato ma quel poco che riesce a capire non dice niente di buono, lei è l’ultima sopravvissuta di un tremendo incidente occorso diversi anni prima. Gli abitanti della zona, il sindaco della vicina cittadina in testa, non vedono di buon occhio la nuova arrivata, inoltre molti sanno che all’interno della casa si nasconde un terribile segreto….
Si scrive sequel ma si legge reboot, l’ennesima resurrezione di Leatherface (Faccia di cuoio) si riallaccia niente meno che al primo leggendario “Non Aprite Quella Porta” (1974) con tutti i rischi del caso, mette da parte i relativamente recenti “Non Aprite Quella Porta” (2003) di Nispel e “Non Aprite Quella Porta: L’inizio” (2006) di Liebesman. La pellicola parte bene visto che nei primi minuti viene condensata l’opera di Tobe Hooper, riproposta nelle fasi più salienti e cruente, per mezzo delle scene originali del 1974 riconvertite in 3D. Per la stragrande maggioranza dei fan si tratta di un’anteprima, anche per questioni anagrafiche, vedere un pugno di minuti su grande schermo riguardanti uno dei film più amati del genere non capita tutti i giorni. Segue l’inizio del vero film che muove i suoi passi pochi secondi dopo la fine del film di Hooper, con le forze di polizia e un nugolo di bifolchi locali che tengono d’assedio la casa dei Sayer da cui proviene Leatherface, una resa dei conti che porta alla giustizia sommaria e un rogo purificatore che brucia i reietti imprigionati tra le mura. Solo una neonata si salva, mentre di Leatherface non si conosce la sorte. In queste prime immagini si scorge, nell’indiscriminata sete di giustizia, la pulsione reazionaria dei villici come nel finale de “La Notte dei Morti Viventi” di Romero.
La pellicola rientra nei soliti binari con l’arrivo della protagonista, quanti anni dopo gli eventi dell’incendio non viene mai chiarito, la Heater di Alexandra Daddario che ricorda l’avvenenza sexy di Jessica Biel (Non Aprite Quella Porta, 2003), sin dalla prima inquadratura la giovane viene ripresa ad altezza bacino (scoperto) e relativi generosi pettorali. Stessa cosa si può dire per i suoi compagni di viaggio che hanno nell’amica stupida ma disinibita il personaggio più stereotipato. Naturalmente c’è il ragazzo nero palestrato la cui sorte, per chi segue il genere slasher, appare scontata. E’ un peccato che la sceneggiatura si adagi su questi meccanismi ormai logori, e la prima parte con l’avvicinamento al Texas lo testimonia con un sentore di noia costante, visto che l’intenzione di sondare nuove direzioni compare nella prosecuzione e, alla fine, rappresenta l’aspetto più interessante che spinge “Non Aprite Quella Porta 3D” ad assomigliare, con le debite proporzioni, a “La Casa del Diavolo” di Rob Zombie. Il film infatti prende una piega inaspettata, dalla parte dei cattivi, e sviluppa il tema sul male nascosto dietro le persone più rispettabili che avvolge intere comunità.
L’attesa resta comunque tutta per Leatherface che, almeno lui, non delude nelle prime apparizioni brutali e violente. Il minorato mentale dal fisico imponente e con la faccia coperta da pelle umana, vive ancora indisturbato nei sotterranei di una casa, il covo in cui vengono attirati dei poveracci che vengono fatti a pezzi con dovizia dalla fedele motosega, inquadrata al centro dello schermo per risaltare i deludenti effetti in 3D, inutili per un film dalle scenografie claustrofobiche e buie. Quando entra in scena Leatherface il divertimento è assicurato con soprassalti di sangue e carne maciullata, lo splatter è servito in dosi più che soddisfacenti, inoltre compare almeno una scena disturbante: il rito della “vestizione” della maschera di pelle umana, (auto)cucita con filo e spillone infilato nella carne viva. Altre sequenze interessanti che lo vedono coinvolto sono: la sortita in un luna park nel mezzo di una folla urlante che ignora la sua vera natura e l’inseguimento nel piccolo cimitero, in cui sfonda con la motosega una bara alla ricerca della preda, un omaggio al Lucio Fulci di “Paura nella città dei Morti Viventi”.
Clamoroso scivolone di sceneggiatura che si fa beffe della logica nella sequenza del telefonino smartphone, utilizzato per riprendere l’esplorazione dei sotterranei della villa, la nuova location del film che risulta più asettica rispetto alla decadenza putrida del passato. Si presume che gli eventi proposti siano collocati circa 20/25 anni dopo i fatti del 1974, quindi più o meno negli anni 90, quando la tecnologia in commercio non prevedeva telefonini muniti di telecamera, anche i veicoli che si intravedono portano ai nostri giorni. Il finale riporta alla luce un’altra ambientazione sfruttata nei capitoli precedenti, nel mattatoio si consuma una sanguinosa resa dei conti a colpi (naturalmente) di moto-sega. Diretto da John Luessenhop (Takers), “Non Aprite Quella Porta 3D” non rinuncia alla scena iconica della ragazza inseguita nella boscaglia da Leatherface, immortalata sin dal primo film di Hooper che resta insuperato a distanza di 40 anni. Nel tentativo di rafforzare il connubio nel cast compaiono diversi attori presenti nell’opera originale del 1974, tra i quali spicca Gunnar Hansen, il primo Leatherface della storia. Un’ultima scena è posta dopo i titoli di coda. Un film dignitoso che può accontentare i fan di Leatherface.
Titolo Originale: “Texas Chainsaw 3D”
Paese: U.S.A
Rating: 6/10