Aggiornato il Febbraio 1, 2010 da Il Guru dei Film
Un ristorante di Amburgo è il centro di una storia divertentissima accompagnata da una colonna sonora a base di black che arriva fino alle canzoni tradizionali tedescehe passando per l’hip hop. Da Fatih Akin, il regista della sposa turca.
Per fortuna funziona ancora il passaparola (d’altra parte Internet non è forse la più grande operazione di passaparola mai oranizzata?). Ci sono film, ma lo stesso discorso si può fare per la musica, i libri, eventi e persino certi programmi tv, che superano i tempi fisiologici della promozione (quando c’è) e della programmazione regolare proprio grazie al puro piacere di chi va al cinema per passione, si diverte e comunica a qualcun altro il suo entusiasmo. Di recente è successo con Hairspray, Across the Universe, I Love Radio Rock, Il mio amico Eric. Ora sta succedendo con Soul Kitchen di Fatih Akin, il regista di La sposa turca.
Soul Kitchen è un film divertente, intelligente, molto chic, con un linguaggio attualissimo (qualcuno ha citato, a ragione, The Millionaire), che mette insieme temi come l’amore, il sesso, il denaro, la cucina, il lavoro, la voglia di divertirsi, la durezza del quotidiano e dà per scontato, cosa che in Italia non è poi tanto scontata, il melting pot metroplitano. Con tanta musica, che è uno dei protagonisti assoluti, forse il motore del film. Ma della colonna sonora vi parliamo tra un po’.
Partiamo dalla storia che si svolge ad Amburgo. Zinos è un cuoco di origine greca che si è comprato un ristorante in un capannone. I suoi affezionati clienti sono solo la gente del quartiere che beve birra e mangia patate fritte, cotolette di pesce, salsicce e poco più. Il ristorante si chiama Soul Kitchen e il titolo è pieno di significati perché allude alla musica soul (e la grafica blackploxtation non lascia dubbi sui gusti musicali) vuol dire "cucina dell’anima" e allude al soul food, che è il cibo preferito dalla comunità black e dunque di gran parte della miglior musica mai incisa. Attorno a questo ristorante ruota una piccola comunità di dropout, un vecchio greco che ripara una barca e non paga mai l’affitto, Lucia la cameriera aspirante artista che vive in un bellissimo loft occupato senza il bagno, una scalcagnata rock band che non ha un altro posto dove provare. Zinos è pazzo della sua fidanzata Nadine, una riccona snob che sta per partire per Singapore per coronoare i suoi sogni di "vorrei essere una reporter". Dopo una bella catena di coincidenze, tra cui un’ernia del disco che colpisce il povero Zinos ma si rivelerà una benedizione, al Soul Kithcen arriva uno chef spagnolo completamente fuori di testa che è un mago dei fornelli. La vecchia clientela scappa via ma dopo un po’ il ristorante diventa un must grazie alle magie del cuoco matto e alla colonna sonora. Il problema è che Zinos vuole seguire Nadine così alla fine affida il ristorante in gestione al fratello, un ladro col vizio del gioco, che ha alcune ore di permesso dal carcere.
Mentre Zinos sta per partire, all’aeroporto incontra Nadine che rientra in Germania perché è morta la nonna despota e ha un nuovo fidanzato: resta così ad Amburgo ma il fratello si è giocato il ristorante a poker, perdendolo con l’ex compagno di scuola di Zinos diventato un immobiiarista senza scrupoli. E’ inutile ora raccontarvi tutte le peripezie: c’è un happy ending (che del tutto happy non è) e il Soul Kitchen sopravviverà.
La prima cosa che colpisce di questo film è che una bella storia e molto divertente con persone reali: gli uomini hanno i casini di tutti, qualcuno un po’ di pancetta, vanno alle cene snob con i vestiti che puzzano di fritto, perdono i capelli, hanno le voglie di tutti e vogliono divertirsi come tutti. Le donne non sono la proiezioni hollywoodiane della bellezza ma sono donne: che quando bevono troppo stramazzano, sono sexy quando ne hanno voglia (come l’ispettrice del fisco nell’esilarante scena dell’orgia), fanno lavori normali e possono essere stronze o impagabili. Le band rock non sanno dove suonare e non hanno una lira e non c’è Zack Efron a risolvere tutti i guai.
Poi c’è Amburgo, una metropoli dove piove e c’è la neve, c’è lo spacca ossa turco (che cura l’ernia con una tecnica da fratelli Marx) e la massaggiatrice da sposare e tutto il fascino un po’ mistery che hanno le città dei grandi narratori. Tanto che lo sgangherato esercito di personaggi di contorno la fa somigliare alla Belleville di Pennac.
E poi c’è la musica. Una coinvolgente carrellata nella black, dalla più nobile, quella di Quincy Jones, Sam Cooke, Ruth Brown, Isley Brothers e Curtis Mayfiled alla più furbacchiona come Kool & The Gang, fino a Mongo Santamaria, un mix di hip-hop e sound elettronico di Amburgo, musica rock dal vivo, rebetiko greco, etno, "La Paloma", Louis Armstrong, vecchie canzoni italiane senza dimenticare Hans Albers, uno dei più grandi e popolari attori-cantanti tedeschi degli anni ’30 e ’40. Come nel primo Woody Allen, la colonna sonora è il collante del film, quasi tutta la storia è accompagnata dalla musica che fa da moltiplicatore emotivo alle sgangherate avventure di Zinos e dei suoi compari. E le immagini seguono esattamente il feeling della musica in un apologo sul piacere di vivere che lascia solo un rimpianto: non avere il Soul Kitchen sotto casa.
Paolo Biamonte