Aggiornato il Gennaio 14, 2010 da Il Guru dei Film
Il nuovo film di James Cameron è una macchina spetttacolare che utilizza tecnologie d’avanguardia e, con il pianeta Pandora, crea un universo fantastico destinato a cambiare il linguaggio cinematografico. Con Sam Worthington e Sigourney Weaver.
Avatar, che come sapete in Italia è stato programmato questa settimana per evitare la concorrenza dei cinepanettoni, ha già superato il miliardo di dollari di incasso nel mondo ed è ormai un fenomeno che trascende i confini puramente cinematografici. La nuova opera di James Cameron riscrive le regole del linguaggio visivo, trasformando la più avanzata tecnologia mai utilizzata al cinema in codice espressivo. Il lavoro compiuto da Cameron e dalla Weta Digital lungo tre anni è stupefacente per la perfezione con cui si fondono 3D e la tecnica motion capture.
Per i pochi che ancora non l’hanno letta, vediamo innanzitutto la trama che sostiene un film a metà strada tra l’apologo ecologista e western come Il Piccolo Grande Uomo e Balla coi Lupi.
Nel 2154 la Terra sta per finire le scorte vitali e, puntando sulla collaborazione tra una multinazionale famelica e un esercito che ricorda molto da vicino la dottrina di Bush e Cheney, decide di impadronirsi dell’ Unobtainium (si chiama così in originale, con un gioco di parole costruito su unobtainable, non ottenibile), una sostanza ricca di energia di cui abbonda il pianeta Pandora. La multinazionale finanzia gli studi della scienziata Grace Augustine-Sigourney Weaver che inventa gli Avatar, corpi artificiali controllati a distanza dagli uomini che sono in tutto e per tutto uguali ai Na’vi, gli abitanti del pianeta. In realtà gli obiettivi della multinazionale sono diversi da quelli della scienziata: la multinazionale con gli Avatar vuole infiltrare il pianeta per i suoi scopi di conquista, la scienziata vuole studiare il rapporto empatico che i Na’vi hanno con la natura.
A mettere in moto la vicenda è un ex marine costretto sulla sedia a rotelle da una ferita di guerra, Marcus Wright-Sam Worthington, che accetta di essere inviato su Pandora nel suo Avatar. Lo spettacolo del film è proprio Pandora, dove tutto è frutto del digitale. I Na’vi sono creature blu alte tre metri, semi primitive e guidate dal bisogno di sentirsi in armonia con la Natura. Il pianeta è un mondo fantastico, ispirato alle opere di Roger Dean (l’autore delle copertine degli Yes e di alcuni dei più celebri gruppi del Progressive), attraversato da animali volanti che sembrano uscite dalla tavole di Moebius, ricoperto da una vegetazione stupefacente che di notte si illumina al passaggio dei Na’vi, un luogo che offre paesaggi mozzafiato, frutto di ricerche in giro per il mondo (in particolare in Cina) e della conoscenza di Cameron degli abissi marini.
Arrivato su Pandora Marcus Wright scopre di essere dalla parte dei nativi, favorito dall’incontro con la bella Neytiri (Zoe Saldana che non appare mai nelle sue fattezze umane). Intanto all’opera c’è il colonnello Quaritch (Stephen Lang), un guerrafondaio che vuole distruggere la vita su Pandora, cancellare la cultura Na’vi (a proposito: parlano una lingua inventata per l’occasione) e trasformare il pianeta in una grande miniera. Wright deve così scegliere tra tradire la sua razza per diventare un vero Na’vi oppure accettare la logica dei colonizzatori che attaccano con le più sofisticate e mortifere armi da guerra un popolo che si difende con archi e frecce. Il riferimento a quanto accaduto nel West con gli Indiani d’America sembra evidente.
Questa essenzialmente è la storia. E non ci vuole un filosofo per capire che il senso del film è nella contrapposizione tra i nativi in pace con la natura e gli umani famelici e guerrafondai. Ma la forza di Avatar sta nella tecnologia utilizzata per riportare il cinema alla sua funzione di creare meraviglia, stupire non tanto con l’accumulo di effetti speciali ma con la moltiplicazione di quello che l’occhio può vedere, con una profondità dell’immagine mai vista e un uso del paesaggio che lascia a bocca aperta.
Paolo Biamonte