Aggiornato il Marzo 31, 2015 da Il Guru dei Film
Il singolare thriller-horror prodotto e ambientato in Israele.
Il cadavere di una bambina viene ritrovato senza testa, il maggiore indiziato dell’omicidio è un insegnante scolastico che per i metodi poco ortodossi di alcuni agenti viene lasciato libero …
Un detective non demorde e conduce una personale indagine sul sospetto, anche il padre della vittima è però interessato all’insegnante e deciso ad attuare un sequestro di persona….
Alla fine anche il cinema di genere israeliano, in verità mai pervenuto prima d’ora, conosce con “Big Bad Wolves” una piccola ma significativa ribalta, tutto sommato meritata visto che si tratta di un horror sui generis ambientato in una zona più nominata e conosciuta per altri (spesso tristi) motivi. Dietro a questo piccolo evento compaiono due giovani registi di origine israeliana Ahron Khesales e Navot Papushado, ad accrescere una consuetudine sempre più frequente nel cinema che vede emergere le coppie di registi, già artefici di quello che è considerato il primo horror israeliano: Kalavet (2010).
Big Bad Wolves, a detta degli stessi autori, è una fiaba per adulti filtrata con l’horror e un’ironia di fondo fuori dal comune capace di fare sorridere di una vicenda che si occupa di pedofilia, tortura e sospetto.
Per intercettare le coordinate su cui si muove “Big Bad Wolves”, si può definire il film come la risposta israeliana ai coevi “Il Sospetto” e “Prisoners”, entrambi incentrati sul delicato tema della violenza sui minori, opere molto più cupe e pesanti. Big Bad Wolves sembra aperto a un ilare fatalismo, le cose brutte succedono, i bambini muoiono ma la vita è questa, spesso buffa, grottesca e popolata da personaggi bizzarri, magari dall’animo buono ma capaci di commettere errori ed orrori. Si affrontano temi non facili e si va subito al dunque sin dal bel prologo, tutto al ralenti, con la scomparsa di una bambina intenta a giocare a nascondino con i suoi compagni nei pressi di un’abitazione abbandonata. Un orco indistinto è dietro l’angolo, l’unica traccia del suo passaggio è una scarpetta rossa della bimba dentro un armadio.
Big Bad Wolves è ambientato in un non meglio precisato agglomerato benestante di Israele, ordinato e composto da piccole abitazioni con giardino, a dire il vero si vede poco degli esterni, luoghi anonimi con sprazzi di vegetazione. L’attenzione poi si sposta in un’altra zona ancora più isolata che viene fatta intendere circondata da villaggi arabi, a questo proposito la presenza di un uomo arabo pacifico e rilassato che circola con il suo ronzino, incurante delle trame dei vicini ebrei che ne fanno di cotte e di crude, una situazione che può sottintendere messaggi nascosti a sfondo socio-politico molto delicati da quelle parti. Big Bad Wolves ha sempre un tocco leggero, fa (sor)ridere sempre con i suoi personaggi, come all’inizio, quando il capo poliziotto insieme al figlioletto dalla lingua lunga interroga il sottoposto Micki, il detective che si mette sulle tracce del sospettato Dror.
Più che al torture porn americano, Big Bad Wolves tende ai tosti thriller sud coreani a base di torture e rancore generato dall’ingiustizia. L’arrivo del vendicativo personaggio Gidi, il padre della bambina defunta, interpretato da un ottimo e inquietante Tzahi Grad fa piombare il film nello scantinato di una casa isolata. Un luogo chiuso in cui si compiono interrogatori e torture a colpi di martelli e fiamme ossidriche, il tutto condito da momenti paradossali e intrusioni di personaggi esilaranti come il padre di Gidi interpretato da Doval’e Glickman, un comico molto noto in patria. La regia mantiene alta la tensione e sfrutta bene la colonna sonora orchestrale, senza dimenticare l’incredibile Everyday di Buddy Holly, vera ciliegina sulla/nella scena della preparazione del dolce “speciale”. Finale a sorpresa (?) di grande effetto.
Tit. Originale: Big Bad Wolves
Paese: Israele
Rating: 7/10