Aggiornato il Aprile 28, 2016 da Il Guru dei Film
Bone Tomhawk è il western dalle atmosfere horror con protagonista Kurt Russell …
Tit. Originale: Bone Tomahawk
Paese: USA/Inghilterra
Rating: 8/10
Lo sceriffo Hunt sbatte in gattabuia un sospetto rapinatore giunto in paese, lo sconosciuto ha bisogno di cure per una brutta ferita alla gamba e per questo viene chiamata la giovane Samantha in sostituzione del medico ubriaco. Hunt lascia la donna e il suo vice a prendersi cura del prigioniero, all’indomani però viene avvertito che la prigione è stata assaltata: ignoti hanno sequestrato Samantha, il vice sceriffo e l’arrestato. Sul posto viene rinvenuta una strana freccia che porta verso un’oscura tribù indiana. La faccenda è brutta, nelle vicinanze anche un innocente è stato aggredito a morte, Hunt non perde tempo e organizza una spedizione per tentare una missione di salvataggio….
Una sporca e cupa storia da qualche parte nel Far West, il film d’esordio di S. Craig Zahler priva il genere di ogni riferimento epico/romantico e lo immerge in un contesto realistico che sconfina nell’horror per il senso di crudeltà impietosa: la prima sequenza ritrae un uomo intento a sgozzare una vittima inerme a terra. Come se non bastasse, ad accentuare la contaminazione, si riconoscono nelle prime scene Sid Haig (uno dei preferiti di Rob Zombie) e David Arquette (serie Scream), intenti nello spoglio di una rapina sanguinosa. Bone Tomahawk sterza da subito in una dimensione di mistero primordiale, l’entrata nel territorio di una comunità nascosta e selvaggia apre le porte dell’inferno per gli sventurati che osano profanarla, una minaccia per i primi insediamenti coloni, impreparati a un simile nemico. Per lanciarsi in un iperbole si può definire la pellicola come l’incontro tra Sentieri Selvaggi e Cannibal Holocaust, quest’ultimo chiamato in causa per la deriva cannibale della temibile tribù indiana che lo sceriffo Hunt deve affrontare.
Kurt Russell è il maturo sceriffo Hunt in una delle migliori interpretazioni della sua seconda proficua fase di carriera, iniziata più o meno a partire da Death Proof, il tutore della legge di una apparente tranquilla cittadina di frontiera, a riprova che quando ha barba (e baffi) i suoi personaggi ne guadagnano in carisma e presenza. Hunt è il leader di un “mucchio selvaggio” improvvisato e anche un po’ malconcio, visto che a comporlo sono chiamati il vecchio aiutante Chicory (nel doppiaggio italiano Cicoria) di Richard Jenkins e il marito Arthur della rapita Samantha, interpretato da Patrick Wilson che sembra avere la stessa età (30 più o meno) da circa 10 anni, in stampelle per una ferita alla gamba dovuta a un banale incidente domestico. Chiude le fila il glaciale dandy Brooder di Matthew Fox, unitosi volontario e grande cacciatore di indiani. Film diviso a grandi linee in tre fasi, la prima ambientata nella cittadina presenta i personaggi, la parte centrale è l’avvicinamento verso la paura e l’insondabile, il terzo atto è l’orrore puro e la violenza che l’uomo tenta di scacciare sin dalla sua comparsa.
Incantevole vittima del contendere è la giovane Samantha, rapita insieme al vice sceriffo, interpretata da Lili Simmons (la nuova Diane Lane?) finita nelle mani di una tribù di indiani definiti trogloditi. Termine che ha sempre fatto sorridere ai più, usato per scherno, ma ora eccoli qui: primitivi, privi di un linguaggio, dediti al cannibalismo, inquietanti e possenti guerrieri, nella più spaventosa delle rappresentazioni. Possono ricordare le orde selvagge che Antonio Banderas affronta ne “Il 13 Guerriero”. Dopo averli visti in Bone Tomahawk il richiamo al “troglodita” avrà sempre un effetto sinistro. S. Craig Zahler, anche sceneggiatore, li definisce in un contesto credibile, dentro a un paesaggio desolato di caverne e strette gole pronte a divenire trappole per gli intrusi, modificati nel corpo con innesti di ossa animali che li rendono guerrieri demoniaci, i riti cannibalistici che consumano provocano alcune delle sequenze più forti (splatter) viste in tempi recenti.
Il regista S. Craig Zalher dimostra un’eccellente direzione degli attori che hanno tutti spazio per mettersi in mostra con bravura, bisogna ammettere che il vecchio Jenkins ha una sfumatura crepuscolare in più che lo fa svettare, merito anche di una serie di fitti dialoghi notevoli e intensi, a tratti anche divertenti e spesso per bocca del personaggio di Brooder (il discorso sull’intelligenza). Da parte sua Patrick Wilson è ottimo nella sofferente caratterizzazione del vendicativo marito, un ruolo centrale che trasmette bene il dolore e la fatica della missione. Scene d’azione ridotto all’osso (è il caso di dire visto il titolo) ma di forte impatto, paesaggi opprimenti e assenza in pratica di colonna sonora, completano un western dalla personalità fuori dal comune. Un titolo che meritava ampiamente la distribuzione nelle sale in italia.
Sciamano