Aggiornato il Gennaio 26, 2015 da Il Guru dei Film
Un Jidai-geki fantasy per un piccolo classico del cinema giapponese anni 60.
Gli abitanti di un villaggio contadino sono in subbuglio per i tremori del terreno che la superstizione collega al Majin, uno spirito malevolo imprigionato dentro una statua situata in una vicina montagna …
La popolazione organizza una cerimonia religiosa per placare gli spiriti, un’occasione propizia e di confusione per alcuni uomini del feudatario Hanabasa utile a compiere un atto di tradimento e raggiungere il potere. Dietro alla macchinazione si cela il malvagio Samanosuke, un uomo ritenuto affidabile, che non si fa scrupolo di eliminare la famiglia regnante, il suo volere però non viene completato grazie al coraggio del giovane Kogenta che porta in salvo i due figli di Hanabasa, fratello e sorella, poco più che bambini.
Una delle pregevoli produzioni degli Studios giapponesi Daiei, i rivali dell’ingombrante Toho (Godzilla, per citare il suo personaggio più celebre), al culmine di un periodo fortunato e creativo capace di segnare gli anni 60 con opere che hanno fatto la storia: le serie di Zatoichi, Sleepy Eyes of Death, Gamera, ecc. Solo pochi anni dopo, nel 1971, la Daiei entra in crisi e fallisce per poi riaprire senza mai più riprendersi come ai vecchi tempi. Daimajin è un altro simbolo del cinema giapponese degli anni 60, un riuscito e originale tentativo di unificare il Jidai-geki, opere ambientate nel feudalesimo giapponese dell’era Tokugawa, con l’emergente filone del Kaiju eiga, incentrato sui mostri giganti e distruzioni assortite. Daimajin soddisfa gli estimatori di questi due filoni in apparenza distanti, in questo caso accomunati dal retroterra spirituale/religioso dell’antico Giappone, denso di credenze e leggende che hanno spesso come protagonisti dei mostri.
Daimajin è un’opera costosa e curata sotto ogni profilo, con ottime scenografie in esterni che ricreano un grosso villaggio montanaro e splendidi scenari naturali di foreste e cascate spettacolari: la sequenza incantevole della ragazza che canta vicino al corso d’acqua. La fotografia risalta l’atmosfera cupa e violenta della vicenda che, a partire dal prologo, fa intuire delle sensazioni horror con un’apertura plumbea ed elegante immersa nella nebbia che non preannuncia niente di buono, ad amplificare la tensione l’ottima colonna sonora minacciosa di Akira Ifukube, celebre per i main-theme dei film di Godzilla. Daimanjin è piuttosto violento e disperato, i protagonisti soffrono e sono vessati da uomini senza cuore che sfruttano la popolazione con il pugno di ferro, il personaggio malvagio di Samanosuke appare come un vero e proprio tiranno che, come i faraoni dell’antico Egitto, riduce gli abitanti del villaggio come schiavi costretti a immani fatiche per fortificare il nuovo castello. Gli avvertimenti di una sacerdotessa, una donna dai lunghi capelli neri, inerenti l’arrivo dello spirito del Majin contrariato dalle violenze sulla popolazione vengono derisi, intanto la resistenza per fermare Samanosuke ha una flebile speranza in Tadafumi e Tadakyo, fratello e sorella, i figli del regnante assassinato, cresciuti dopo avere trascorso 10 anni nascosti nella montagna proibita che custodisce il temuto spirito.
La figura del mostro resta defilata per buona parte della pellicola, si tratta di un gigante di pietra con le sembianze di un guerriero bardato di armatura, incastonato nei pressi di una cascata in cui è sigillato uno spirito malvagio e vendicativo. Come spesso accade nella letteratura e cinematografia giapponese (e non solo), questa forza può essere liberata nelle situazioni estreme per ristabilire gli equilibri. In Daimanjin l’essere inquietante mantiene una distanza ultraterrena e inesplicabile, la regia di Kimiyoshi Yasuda, un veterano della mitica serie di Zatoichi, gestisce bene l’attesa del suo risveglio e quando questo accade non delude grazie a sequenze potenti e spettacolari, con effetti speciali ancora validi e godibili.
La parte finale di Daimajin è puro Kaiju Eiga della migliore fattura, con recrudescenze horror e cattive che prevedono gente martoriata e crocifissa a morte con brutale violenza. Spettacolare l’arrivo della creatura sul villaggio, preannunciata da una palla luminescente e un cielo colorato di rosso sangue, gli ottimi effetti speciali restituiscono un buon realismo nel rappresentare un gigante di pietra alto almeno 12 metri che porta terrore e devastazione nel villaggio, impagabili le inquadrature sul particolare delle mani enormi che afferrano le vittime, effetto vintage/nostalgico garantito e spettacoloso. Il film ha goduto di ben due sequel girati lo stesso anno e sempre sugli stessi alti livelli, basti pensare che nel secondo capitolo (Daimajin Ikaru/The return of Daimajin) la regia è affidata al maestro Kenji Misumi. Il terzo capitolo è intitolato Daimajin Gyakushu/Wrath of Daimajin di Kazuo Mori.
Tit. Originale: Daimajin
Paese: Giappone
Rating: 8/10