Flags of our fathers l’incubo di essere un eroe

Aggiornato il Novembre 10, 2006 da Il Guru dei Film

ImageClint Eastwood racconta la battaglia di Iwo Jima dalla parte dei tre soldati che issarono la bandiera sull’atlo dove morirono 20 mila soldati giapponesi. L’orrore della guerra denunciato attraverso il dramma individuale di chi non potrà dimenticare.


Era difficile immaginare che fosse ancora possibile realizzare un film sulla Seconda guerra mondiale capace di raccontare qualcosa di nuovo. Flags of our fathers riesce in questa impresa, dimostrando la straordinaria maturita’ artistica di Clint Eastwood che, a 76 anni, con questa nuova prova da regista porta a compimento il suo percorso di catarsi arttistica che, da simbolo della violenza senza regole, dai Western di Leone all’ispettore Callaghan, lo ha portato a questo urlo di dolore contro la follia della guerra.
Flags of our fathers e’ lo spaventoso racconto della battaglia di Iwo Jima, una delle pietre miliari della leggenda militare americana, fissata per sempre nella memoria collettiva dalla fotografia dei soldati che piantano la bandiera a stelle e strisce sul punto più alto dell’atollo dove è stata annientato l’esercito giapponese.
Per arrivare a piantare quella bandiera è stato necessario un massacro durato un mese: più di 20 mila sono stati i soldati giapponesi morti. Prima dello sbarco l’aviazione aveva ridotto l’isolotto a un pezzo di terra brulla. Dei sei soldati incaricati di issare la bandiera, solo tre sono rimasti vivi. I tre che Joe Rosenthal, fotografo dell’Associated Press mise in posa (solo anni dopo si è saputo che quella tramandata è un’immagine costruita). I tre di Iwo Jima furono mandati in un tour trionfale.
I tre si chiamavano John Bradley, detto Doc, Ira Hayes e Rene Gagnon. Se quest’ultimo resse l’urto della popolarità, Doc trascorse la sua vita in una stoica infelicità mentre Ira, un indiano affondò nell’alcool e nell’oblio.
Flags of our fathers e’ la storia di questi tre uomini che non si liberarono mai dall’orrore di Iwo Jima. Clint Eastwood parte dall’assunto che la guerra combattuta nel Paicifico era necessaria: ma non per questo meno spaventosa. La sua grandezza di narratore sta nel rappresentarla attraverso il dramma individuale di un essere umano costretto a uccidere altri esseri umani, ad affrontare un orrore e una paura e una follia che non usciranno più dalla sua anima dove nulla potrà più cancellare le immagini degli amici morti con la faccia nella sabbia.
Eastwood racconta la guerra nella sua assurda spettacolarità ma con un realismo che in un certo senso corregge il patriottismo eccessivo e tecnologico di Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg che è tra i produttori del film.
Ma a rendere ancora più spaventoso il massacro è la vita oltre dei tre eroi, la narrazione a flashback che fa capire come il tempo non eviti alla memoria di entrare in un loop di angoscia.
Si sa che la guerra al cinema è uno spettacolo, anche quando il film che la racconta è dichiratamente "contro". Ma in Flags of our fahers non c’e’ esultanza per la vittoria: il simbolo perfetto è la vulnerabilità del povero Ira. Non e’ di poco conto che Eastwood abbia girato la storia di Iwo Jima in un altro film, questa volta visto dalla parte dei giapponesi.

Paolo Biamonte