Io non sono qui – sei personaggi in cerca di Dylan

Aggiornato il Settembre 6, 2007 da Il Guru dei Film

Io non sono qui

Il film di Todd Haynes (Velvet Goldmine) racconta la storia, la vita e l’arte del menestrello di Duluth usando sei attori e sei personaggi ognuno dei quali anima una storia differente che incarna una diversa fase della vita di Dylan. Tra gli interpreti, Christian Bale, Heath Ledger e Cate Blanchett.

Qualche avvertenza. Questo è l’unico film su Bob Dylan che abbia avuto l’autorizzazione di Mr. Robert Zimmermann (il suo vero nome) che, con grande sorpresa del regista, ha anche concesso i diritti dei suoi brani che formano la colonna sonora. Esattamente come Dylan, questo non è un film facile da capire nè da seguire. Non per niente c’è il personaggio di un giornalista inglese che commentando le risposte incoerenti di una conferenza stampa (una specialità della casa) dice: ‘credo di non capire’. Non è un film biografico e la narrazione piena di citazioni racconta Dylan non in ordine cronologico e, cosa davvero originale, attraverso l’interpretazione di sei attori compresa una donna (Cate Blanchett, peraltro bravissima). Un’ultima premessa: anche per gli studiosi più accreditati, Dylan resta un enigma. Un po’ come le scalette dei suoi concerti che mettono sempre in crisi gli addetti ai lavori visto che l’ uomo si diverte a rendere irriconoscibili i suoi brani. Last but not the least, Todd Haynes, il regista, è lo stesso di Velvet Goldmine, che è un bel ritratto dell’epoca del glam rock, e dunque è uno che se ne intende.
E adesso veniamo al film che scompone la storia, la carriera, la musica  e la vita di Dylan in sei segmenti diversi, affidati ciascuno a un personaggio, con un nome e una storia differente. Incarnazioni presentate non una dopo l’altra, ma alternandole continuamente durante lo svolgimento della pellicola: c’è Woody, il ragazzino di colore che adora la musica di Woody Guthrie (la scritta sulla chitarra The Guitar Kills Fascists (uccide i fascisti) compariva realmente su quella di Guthrie); c’è Arthur (Rimbaud), grande poeta che ha influenzato Dylan, che appare in spezzoni di intervista con sfondo bianco e nero; c’è Jack Rollins (Christian Bale), amico della folksinger Alice (Julianne Moore, evidentemente ispirata a Joan Baez) che dall’attivismo per i diritti civili passa alla svolta cristiana; c’è l’attore Robbie (Heath Ledger), che rappresenta il lato privato di Bob, e che vive una storia poi fallita con Claire (Charlotte Gainbourg); c’è Jude (Cate Blanchett, perfetta in un ruolo maschile), cantante-rockstar in crisi esistenziale, dipendente delle pillole, che dopo la famosa "svolta elettrica" vola a Londra e conosce i Beatles; e infine c’è Billy the Kid (Richard Gere) chiaro riferimento a Pat Garrett e Billy the Kid, il western di Peckimpah per il quale ha fatto l’attore e la colonna sonora con Knockin’ on Heaven’s Door.  
Ora per capire dove si va a parare sarà forse utile ricordare che Woody Guthrie e il blues rurale sono stati la principale fonte di ispirazione musicale per Dylan ancora ragazzo. Che Rimbaud ed Ezra Pound sono due delle sue fonti poetiche. Che quando al festival di Newport presentò la svolta elettrica successe il finimondo e, soprattutto in Inghilterra, Dylan fu duramente contestato dai fan tradizionalisti. Che negli anni della swingin’ London ha conosciuto il gotha del cinema e del rock mondiale dai Beatles a Woody Allen. Che la sua relazione sentimentale con Joan Baez gli ha permesso di essere apprezzato nell’ambiente della canzone impegnata. Che odia lo star system ed è tormentato dall’assedio dei fan. Che è stato protagonista di uno dei più famosi e misteriosi incidenti di moto della storia della musica. Che in 40 anni di carriera si è presentato al pubblico in una stordente serie di incarnazioni compresa la conversione, lui ebreo, alla religione dei Cristiani rinati. Che l’anno scorso, per la prima volta, ha accettato di concedere un suo brano a una pubblicità televisiva lasciando di stucco i fan.  
Questi sono gli elementi fondamentali per seguire il film di Todd Haynes per evitare che lo spettatore non dylaniano esca dal cinema pronunciando la frase del giornalista: ‘credo di non capire’.

Paolo Biamonte