Aggiornato il Marzo 25, 2015 da Il Guru dei Film
Il nuovo film di Jean-Jacques Annaud è un affascinante documento sulla vita dei lupi in Mongolia. Tratto da un best seller di Jiang Rong, è la storia, ambientata nel 1967, di un giovane studente di Pechino che adotta un cucciolo scampato al massacro dei lupi ordinato dal governo centrale …
480 tecnici, 200 cavalli, un migliaio di pecore, 25 lupi, una cinquantina di loro addestratori, droni utilizzati al posto delle gru per le riprese aereee, sette anni di preparazione e lavorazione sul set allestito nella steppa della Mongolia.
Sono le cifre de L’Ultimo Lupo, il nuovo film di Jean-Jacques Annaud, ormai alla terza esperienza con un lungometraggio con animali protagonisti.
Il nuovo lavoro del regista de Il nome della Rosa è l’adattamento de Il Totem del Lupo il romanzo di Jiang Rong che, secondo le parole di Annaud, in Cina, dove il film ha incassato oltre 100 milioni di dollari in quattro settimane, “è il più grande successo letterario dopo Il Libretto Rosso di Mao”.
Al centro della storia ambientata nel 1967 c’è Chen Zhen, un giovane studente di Pechino che viene inviato nelle zone interne della Mongolia per istruire e alfabetizzare una tribù nomade di pastori. A contatto con una realtà così diversa dalla sua, Chen conosce non solo un concetto diverso di comunità e libertà, ma soprattutto scopre il lupo, la creatura più riverita della steppa.
Racconta Annaud: “All’epoca il governo centrale aveva deciso di trasformare le terre dei mongoli in campi da coltivare e questo rendeva necessario lo sterminio dei lupi, con conseguenze nefaste per il territorio. La scomparsa dei lupi ha prodotto la proliferazione dei roditori che hanno distrutto i campi. Il resto lo ha fatto l’inquinamento”.
Chen trova un cucciolo scampato al massacro e decide di adottarlo e addomesticarlo, contravvenendo agli ordini del governo.
Affascinante il diario di lavoro da parte del regista. “La produzione cinese ha deciso di finanziare la preparazione, accettando il fatto che ci sarebbero voluti tre anni prima dell’inizio delle riprese. Bisognava prendere dei cuccioli di lupo, farli crescere all’interno di parchi costruiti appositamente per il loro sviluppo, sotto una sorveglianza costante – ha spiegato Annaud – Il lupo è un animale molto selvaggio, sempre in guardia. Obbedisce solo al suo capo branco, che a sua volta obbedisce all’addestratore solo quando vuole – ha continuato – I grandi attori spesso sono incontrollabili, deconcentrati, affascinanti ed emotivi. A volte invece sono adorabili, come il nostro capo branco, il re Cloudy, a cui ho affidato il ruolo principale. Aveva deciso che ero suo amico, potevo accarezzarlo e ogni mattina mi saltava addosso leccandomi il viso. Un privilegio raro, che mi ha fatto buttare numerose giacche a vento e procurato non pochi graffi”.
Conclude Annaud: “la verginità degli spazi è uno degli elementi fondamentali del film. Lo splendore della steppa è lo scrigno del lupo della Mongolia, il simbolo eroico della vita selvaggia. Massacrando la vita degli altri ci stiamo avvicinando a un epilogo tragico. Io mi affliggo da anni guardando questo lento suicidio che la nostra specie sta perpetuando. Jiang Rong, l’autore del romanzo, è stato testimone dell’ignoranza devastatrice che ha distrutto l’ambiente negli anni ’60, degli errori fatti in Cina su larga scala come purtroppo dappertutto”.
Per fortuna tutti i lupi usati sul set sono stati portati a Calgary da Andrew Simpson, il capo degli addestratori, che per istruire e crescere gli animali ha trascorso tre anni in Cina.
Paolo Biamonte
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