Aggiornato il Maggio 4, 2007 da Il Guru dei Film
Il film di Olivier Dahan ricostruisce la drammatica parabola umana e artistica della più famosa cantante francese sfuggendo sia alle regole del biopic che alla tentazione della mitologia. Marion Cotillard è la strepitosa protagonista accanto a un impagabile Gerard Depardieu.
Si chiamava Edith Giovanna Gassion. Era cresciuta in un bordello, abbandonata dalla madre. Poi cominciò a cantare per le strade di Parigi e lì fu scoperta dal suo pigmalione che la ribattezzò Piaf, passerotto, e la portò a cantare nei teatri. E lì cominciò il mito. La sua storia è talmente ricca di elementi melodrammatici da essere diventata il paradigma della totale identificazione tra arte e vita. E si sa che in questi casi è molto piu' difficile tenere in ordine la vita dell'arte. Cominciata nel bordello diretto dalla nonna e nelle strade, la carriera di Edith ha conquistato il mondo e superato la sfida del tempo.
Non c'è dubbio che se il filone della canzone realista è diventato così conosciuto il merito vada ascritto alle sue straordinare doti di interprete. Ma è altrettanto indiscutibile che la sua vita tragica e inevitabilmente conclusa con la morte prematura a 47 anni sia un elemento determinante per la sua fama immortale.
La vie en rose di Olivier Dahan racconta la storia della Piaf ma non è un classico biopic. Basato su una ricostruzione minuziosa e puntualissima degli ambienti e delle atmosfere dei primi decenni del '900, il film segue un percorso ideato da chi ha evidentemente letto tutto quello che esiste sulla Piaf e dal quale sono stati tagliati fuori i legami sentimentali con i più famosi cantanti francesi, Montand, Becaud, Aznavour, Moustacki. Molto spazio, al contario, viene concesso all'amore con Marcel Cerdan, il pugile campione del mondo, uno dei pochi amore avuti al di fuori dello spettacolo, che morì in un incidente aereo proprio mentre volava a New York per raggiungerla. Un altro degli incontri celebri tenuto nel film è quello con Marlene Dietrich, avvenuto in occasione di un leggendario concerto alla Carnegie Hall di New York dove in platea a sentirla, tra i tanti, c'era anche Orson Welles. Il fatto è che la Piaf aveva un inestinguibile bisogno d'amore e si fece consumare da un'ininterrotta serie di legami precari e infelici accompagnati da una devastante passione per l'autodistruzione. Minuta e di salute cagionevole, Edith negli ultimi anni della sua carriera dimostrava molti più anni della sua età anagrafica ma la sua voce rimase intatta fino alla fine.
Un film di questo genere ha dalla sua la garanzia di una colonna sonora infallibile, soprattutto se, come in questo caso, i brani sono cantati dalla voce originale. Ma comporta il rischio di un tonfo, come quello compiuto da Claude Lelouch con Edtith e Marcel, se non si sceglie una protagonista credibile. Da questo punto di vista Marion Cotillard (Una lunga domenica di passioni e Un'ottima annata) lascia un segno profondo realizzando l'unica operazione possibile in questi casi: diventare il personaggio interpretato. La Cotillard è la Piaf, bravissima nel doppiare non solo le canzoni ma nel dare vita a un personaggio che è stato capace di dare alla Francia il nuovo inno alla libertà dal nazismo.
La vien en rose e di essere adorata dal popolo come da Cocteau e dal mondo delle caves della Rive Gauche che diventerà la casa dell' Esistenzialismo. Nel cast spicca, come sempre, Gerard Depardieu, nel ruolo di Louis Leplee, l'impresario che ha scoperto la diva di Non, je ne regrette rien, l'ha ribattezzata Piaf ed è morto in circostanze mai chiarite.
Paolo Biamonte