Aggiornato il Gennaio 26, 2012 da Il Guru dei Film
Brad Pitt, Jonah Hill e Philip Seymour Hoffman sono i protagonisti di questo film che racconta la storia vera di due manager totalmente fuori dagli schemi del baseball professionistico americano.
L'arte di vincere (Moneyball) è un bel film basato su un bel libro di Michael Lewis che racconta la storia, ambientata nel 2001, della squadra di baseball degli Oakland Athletics e del loro General Manager Billy Beane, qui interpretato a meraviglia da Brad Pitt. E' un mix tra un classico film sportivo e l'indagine sui meccanismi che regolano lo sport professionistico americano.
La storia per certi aspetti è un classico: gli Oakland Athletics alla fine della stagione perdono una partita decisiva contro i New York Yankees e subito dopo vengono lasciati dai tre giocatori che sono le star della squadra.
Billy Beane, che è stato un giocatore di grande talento senza ottenere risultati all'altezza, tenta di rimettere insieme un team competitivo nonostante grandi difficoltà finanziarie. In questa ricerca incontra Peter Brand (un grande Jonah Hill), un giovane laureato in economia a Yale che ha elaborato una sua tecnica per selezionare i giocatori. Brand lavora in base a statistiche e su queste sceglie i giocatori. Un metodo che entra in diretto conflitto con l'allenatore Art Howe (il grande Philip Seymour Hoffman) e con tutto il management, legato ai metodi tradizionali. Gli inizi sono negativi ma poi la squadra inanella una serie incredibile di successi consecutivi fino al fatidico match in cui viene eliminata allo stesso step dell'anno precedente.
Alla fine del film viene raccontato che Beane ha rinunciato all'offerta dei Boston Red Sox, una delle squadre più titolate della lega, che lo avrebbe trasformato nel General Manager più pagato della storia del baseball. Già dalla trama si possono intuire quali siano le dinamiche della vicenda: il Billy Beane di Brad Pitt è un personaggio che in fondo non ha mai smesso di sentirsi uno sconfitto ingiustamente, Brand è uno strano mix di egocentrismo, superstizione (non va mai a vedere le partite, e quando ci va, contando su un punteggio che sembrava acquisito, rischia di assistere a una disfatta) e innovazione, l'allenatore il ritratto di quell'universo di tradizione e machismo che è la base dello sport professionistico americano.
Paolo Biamonte
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