Aggiornato il Settembre 12, 2016 da Il Guru dei Film
Man in the Dark è il secondo film horror di Fede Alvarez …
Tit. Originale: Don’t Breathe
Paese: USA
Rating: 6/10
Tre ladruncoli di appartamento pensano di avere trovato l’occasione per fare il colpo della vita. Nelle mire della banda c’è la casa isolata di un anziano reduce di guerra, a quanto si dice al suo interno si nasconde un ricco bottino, derivato da un cospicuo risarcimento per un incidente che ha causato la morte della figlia dell’uomo. Come se non bastasse ad agevolare l’impresa l’uomo, oltre a vivere da solo, è un non vedente.
Ritorno per il regista di origine uruguaiane Fede Alvarez, dopo il debutto de “La Casa” (2013), fortunato remake in termini commerciali e dimostrazione di buona tecnica in un’opera non del tutto convincente per il poco mordente e personalità. Discorso che si ripete nel nuovo Man in the Dark, all’apparenza opera originale, sorretto da un piglio registico notevole che punta più sulla tensione thriller rispetto alle atmosfere horror che non si fanno mancare. Alvarez è (era) uno di quei fortunati aspiranti registi cresciuti con i film di Raimi (che produce con la sua Ghosthouse) e Craven, insomma uno che è passato da fan a collega degli idoli adolescenziali, condizione che si riflette ancora una volta in Man in the Dark, un thriller horror che si apre con una scena anticipatrice: un uomo trascina in strada una giovane donna sanguinante.
Alvarez si occupa anche della sceneggiatura, insieme al collaboratore Rodo Sayagues, e non sembra nascondere molto l’influenza de “La Casa Nera” (1991) di Craven, il giovane autore preferisce evitare le tematiche politiche del maestro morto di recente, potrebbe essere anche un omaggio al regista di “Nightmare”, per puntare tutto sui meccanismi atti a provocare ansia e inquietudine. Per farlo si ricorre al cliché del personaggio cieco di Stephen Lang, il man in the dark del curioso titolo italiano in lingua inglese che sostituisce l’originale “Don’t breathe”, forse considerato poco comprensibile (?). Buona parte della tensione, o quello che ne risulta, è tutta o quasi giocata sulla cecità del solitario reduce interpretato da Lang, l’uomo che si muove nel buio di una casa, è in realtà un orco con intenti sanguinari che inizia una personale caccia agli indesiderati intrusi caduti in trappola.
Si rincorrono in questo modo numerose sequenze ben costruite ma spesso ripetitive e prevedibili, i personaggi che trattengono il fiato (don’t breathe appunto) ad ogni occasione per non fare rumore e rivelare la posizione al padrone di casa, salvo scatenare gli immancabili inseguimenti e scontri ravvicinati. Episodi seguiti con lo sguardo privilegiato della giovane Rocky, la biondina Jane Levy, già vista nel precedente “La Casa”, promossa a vera final girl della pellicola, ragazza criminale che nasconde un animo buono e il desiderio di fuggire in un posto migliore. Con un occhio alla cronaca (nera) e all’horror anni 80, per Alvarez incombe ancora un’abitazione maledetta con dei sotterranei poco raccomandabili, alcune delle scene(sorprese) migliori sono ambientate dietro a una porta assicurata da un grosso lucchetto.
Messo in conto una improbabile (per non dire irreale) serie di eventi a livello di sceneggiatura, il film regge bene in tutta la sua durata e pare aperto a inedite svolte di cruda cattiveria che vengono attenuate verso il finale, peccato. Alvarez resta uno che ci sa fare con la macchina da presa e con i tempi giusti, si veda la sequenza-omaggio a “Cujo” carica d’azione nonostante gli stretti spazi all’interno di una macchina, con la protagonista assaltata da uno schiumante e temibile rottweiler. Si ha come la sensazione che Alvarez stia calibrando il tiro, pronto a colpire con una grossa opera che al momento non si è ancora vista, l’abilità c’è ma bisogna lavorarci sopra.
Sciamano
Man in the Dark al cinema dall’8 settembre