Aggiornato il Novembre 7, 2013 da Il Guru dei Film
Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Paul Dano, Terrence Howard, Maria Bello nel cast del film di Denis Villeneuve (La donna che canta) che, raccontando la vicenda di un padre trasformato in giustiziere per cercare di trovare la figlia piccola insieme a un’amichetta, traccia un affresco a fosche tinte dell’America post 11 settembre.
Prisoners è il primo film americano (anche sul piano del budget) di Denis Villenueve, il regista canadese di La Donna che Canta, candidato all’Oscar nel 2011 per il miglior film straniero.
C’è un cast d’eccezione con Hugh Jackman, Jake Gyllenhaal, Viola Davis, Paul Dano, Terrence Howard, Maria Bello e un storia articolata su diversi piani di lettura.
La trama racconta del rapimento di due bambine, Anna ed Eliza, amichette di sei e sette anni, scomparse nel nulla dopo una passeggiata.
Già nella reazione dei rispettivi genitori si legge la volontà di usare un dramma così terribile per tracciare un ritratto, altrettanto terribile, della società americana, immersa nella paranoia del post 11 settembre.
Keller, il padre di Anna, si trasforma nel classico giustiziere che sfida leggi, istituzioni e qualunque convenzione sociale (e umanitaria) per ritrovare la figlia. La moglie si imbottisce di psico farmaci, il padre di Eliza tenta di non farsi trascinare nel furor da giustiziere del suo compagno di sventure, la madre di Eliza invece condivide i metodi di Keller.
Le indagini dell’investigatore incaricato sono un po’ burocratiche: ha arrestato un sospetto ma poi l’ha scarcerato per mancanza di prove.
Purtroppo di mezzo ci sono un serial killer e un’America che alla fine mette paura: già perché le indagini ufficiali e quelle parallele di Keller scoperchiano un universo da brividi dove tutti finiscono per avere qualcosa da nascondere (nelle cantine ci sono perfino scheletri, e non in senso figurato).
Villenueve racconta da più punti di vista e in fondo non giudica tanto i singoli quanto il contesto in cui vivono: l’America della paranoia, convinta che riempirsi la casa di armi sia una risposta al terrorismo globale, quasi abituata alla violenza, mentre la TV sostituisce la famiglia.
Le domande che ci si pone di fronte alla furia di Keller sono le stesse che si è posto il mondo civile di fronte alle crociate di Bush, all’orrore di Guantanamo e delle rendition, della tortura come sistema per ottenere informazioni vitali.
Già: ma chi è sicuro di poter stabilire i confini dell’operato di un padre che cerca di salvare la sua bambina e la sua famiglia?
Paolo Biamonte
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