Aggiornato il Maggio 21, 2009 da Il Guru dei Film
Horror dimenticato degli anni 70 carico di atmosfere angoscianti e intuizioni stilistiche in anticipo sui tempi.
Una ragazza giunge a Pandum, una sperduta cittadina costiera, in cerca del padre di cui non ha da tempo notizie. Il luogo desolato è popolato da gente all’apparenza apatica, in realtà gli abitanti della zona si stanno trasformando in esseri privi di emozioni e con istinti cannibali, la causa é un antica maledizione che racconta dell’arrivo di un oscuro emissario del male.
Conosciuto anche come “Messiah of Evil” il film è il debutto alla regia di Willard Huyck, l’autore scrive insieme alla moglie Gloria Katz (non accreditata per la direzione) anche la sceneggiatura, la coppia forma un sodalizio artistico che gravita intorno ai grossi nomi di Lucas e Spielberg: per il primo firmano la sceneggiatura di “American Graffiti” (1973), mentre per il regista de “Lo Squalo” (1975) si occupano dello screenplay di “Indiana Jones e il tempio maledetto” (1984). I coniugi Huyck nel 1986 si macchiano di essere gli artefici di “Howard e il destino del mondo” (1986), un flop stronca-carriera dal quale non si sono più ripresi.
“Il messia del diavolo” è un low-budget che punta tutto sulla costruzione delle atmosfere malsane di una misteriosa cittadina sperduta, abilmente inquadrata fuggevolmente in rari ma significativi campi lunghi che ne ritraggono la desolazione e l’abbandono. La storia è narrata in flash-back dalla protagonista rinchiusa in un manicomio, raffigurato dalla bella sequenza di un corridoio accecato dal sole, e precipita da subito in un clima di paura con l’apparizione spettrale di un uomo di colore albino ad una stazione di rifornimento. La ragazza viene a contatto con una realtà corrotta da una forza del male di antica origine che si presenta come una religione sanguinaria, un degrado fisico e mentale che trasforma gli uomini in veri e propri zombi.
La metafora del male, che si insinua nel sonnolento tessuto della società moderna priva di ideali, si manifesta con forza in diverse e memorabili sequenze ambientate in luoghi considerati familiari e rassicuranti, addirittura gli avventori di un supermercato avidi di carne anticipano di anni i ritornanti-consumatori di “Zombi” (1978), mentre la scena della ragazza imprigionata in un cinema che lentamente si popola di gente morta è forse il momento più famoso dell’intero film. La violenza è potente ma (quasi)sempre mostrata fuori campo con ottimi risultati, il male si trasmette come un contagio inarrestabile annunciato da lacrime di sangue che solcano il volto delle vittime.