Aggiornato il Gennaio 16, 2013 da Il Guru dei Film
Il nuovo film di Quentin Tarantino è un western che mescola la tradizione italiana con linguaggi e codici diversi in una spettacolare sintesi che conferma il suo straordinario talento. Con Jamie Foxx, Cristoph Waltz, Samuel L. Jackson, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington.
E’ un dato acquisito che Quentin Tarantino sia uno dei pochi autori del cinema contemporaneo a suscitare una generale eccitazione. E alla fine si può anche dire che sia un autore che con i suoi film promuove l’amore per il cinema.
Django Unchained segna finalmente il suo incontro esplicito con l’universo del western all’italiana tante volte citato nei suoi lavori precedenti. D’altra parte Django nasce come un omaggio diretto al film di Sergio Corbucci con Franco Nero, esattamente come Inglorious Basterds è una rilettura di Quel Maledetto Treno Blindato di Enzo G. Castellari.
Anche in questo si vede la genialità di Tarantino perchè in realtà nei suoi film del modello originale resta poco, in questo caso il legame più evidente, a parte lo scheletro della trama, è la presenza di Franco Nero, il cui Django rappresenta una sorta di trinità del western all’italiana insieme allo straniero senza nome di Clint Eastwood e a Ringo di Giuliano Gemma.
Dal folgorante esordio delle Iene in poi, il regista di Knoxville, Tennesse, è diventato una sorta di apostolo dei B Movie, dal poliziottesco italiano allo spaghetti western, dalla Sexploitation alla Blaxploitation, dall’horror di Lamberto Bava e Dario Argento alle commedie sexy con Edwige Fenech al cinema di arti marziali.
In realtà il suo universo espressivo è molto più complesso e questi amori dichiarati, che hanno contribuito a creare il suo personaggio, sono importanti almeno quanto quelli più alti e non dichiarati che formano il suo sterminato immaginario.
Così come Inglorious Basterds era una sorta di vendetta contro Hitler e il nazismo, Django, con buona pace di Spike Lee, è un atto d’accusa contro il razzismo.
Il protagonista è uno schiavo nero, liberato, assetato di vendetta e ansioso di liberare sua moglie, comprata da uno schiavista, ricchissimo proprietario di piantagioni folle e perverso.
In questo suo cammino Django (la storia di svolge nel 1858, cinque anni prima dell’Emancipazione degli schiavi) diventa un cacciatore di taglie e trova un insolito alleato in un bounty killer implacabile ma tutto sommato dai principi morali integri.
Il film mostra la realtà del Sud degli Stati Uniti per quello che era, dunque agli antipodi della cinematografia agiografica tipo Via Col Vento: ci sono i signori incappucciati e i neri sono considerati poco più che carne da macello.
E’ quasi inutile sottolineare come a questa violenza legale faccia da contraltare la consueta, compiaciuta violenza tarantiniana, che come al solito, proprio per il suo parossismo, diventa puro intrattenimento.
La verità è che la capacità di Tarantino di utilizzare i codici narrativi e di rompere le convenzioni è semplicemente straordinaria.
Come è davvero fuori dal comune la sua abilità nell’ottenere il massimo dai suoi attori. Jamie Foxx è un Django carismatico e arrabbiato, lo strepitoso Christoph Waltz il bounty killer, Leonardo DiCaprio il possidente schiavista, Samuel L. Jackson il suo schiavo fedele (ma ve lo immaginate Samuel Jackson, attore tarantiniano per eccellenza, che fa lo schiavo fedele?), Kerry Washington (la protagonista della serie TV Scandal) la moglie di Django, Don Johnson uno schiavista incappucciato.
Ci sono altri due elementi fondamentali: i dialoghi e la colonna sonora.
Tarantino scrive i suoi film come se fosse alle prese con un romanzo e i suoi dialoghi (che riprendono una tradizione letteraria, più che cinematografica, ben precisa) hanno fissato i canoni di un nuovo codice espressivo.
Lui stesso ha raccontato che le sue opere nascono dalla musica. Nella sua casa c’è una stanza con migliaia di vinili catalogati per generi. E’ proprio dalle note custodite da quei vinili che trae l’ispirazione per cominciare a scrivere.
C’è molta Italia in questa colonna sonora. Intanto per la prima volta nella sua carriera ha chiesto un brano scritto appositamente e non è certo un caso che l’autore scelto sia Ennio Morricone che ha firmato Ancora qui, cantato da Elisa
Ma si ascoltano anche il tema di Django, scritto all’epoca di Luis Bachalov e cantato da Rocky Roberts, I Giorni dellIira di Ritz Ortolani, perfino il tema di Trinità (firmato da Franco Micalizzi) mescolati a James Brown e 2Pac, John Legend, Rick Ross e (una sciccheria) Jim Croce.
Paolo Biamonte
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