Aggiornato il Febbraio 4, 2010 da Il Guru dei Film
Radu Mihaileanu, il regista di Train de Vie, firma un nuovo apologo contro le dittature con la storia piena di humour e di dramma di grandi musicisti russi discriminati dal regime che vanno a suonare a Parigi assumendo un'altra identità. Il racconto del regista.
All' epoca di Brežnev, Andreï Filipov è il più grande direttore d'orchestra dell'Unione Sovietica e dirige la celebre Orchestra del Bolshoi. Ma viene licenziato all'apice della gloria quando si rifiuta di separarsi dai suoi musicisti ebrei, tra cui il suo migliore amico Sacha. Trent'anni dopo lavora ancora al Bolshoi, ma come uomo delle pulizie.
Una sera Andreï si trattiene fino a tardi per pulire l'ufficio del direttore e trova casualmente un fax indirizzato alla direzione del Bolshoi: è del Théâtre du Châtelet che invita l'orchestra ufficiale a suonare a Parigi. Andreï ha un'idea folle: riunire i suoi vecchi amici musicisti, che come lui vivono facendo umili lavori, e portarli a Parigi, spacciandoli per l'orchestra del Bolshoi. È l'occasione tanto attesa da tutti di potersi finalmente prendere una rivalsa.
In estrema sintesi questa è la trama de Il concerto il nuovo film di Radu Mihaileanu, il regista romeno che nel 1998 si è fatto conoscere nel mondo con con Train de Vie. Mihaileanu è il cantore dell' impostura positiva, quella compiuta per sopravvivere alla durezza del regime. Spiega il regista: "È un tema che mi pervade mio malgrado. Forse dipende dal fatto che mio padre, che si chiamava Buchman, durante la guerra dovette cambiare cognome per sopravvivere. Diventò Mihaileanu per affrontare il regime nazista e successivamente il regime stalinista. Anche se io ho tratto benefici dalla sua scelta, esiste in me un conflitto tra queste due identità. D'altronde, ho a lungo sofferto per il fatto di essere considerato un estraneo nel luogo dove mi trovo, che sia la Francia, la Romania o qualsiasi altro paese ovviamente. Oggi lo considero una ricchezza".
Vale la pena continuare a utilizzate le sue parole per raccontare questo film pieno di humour e al tempo stesso di dramma. "Il Concerto ha nell'animo il temperamento slavo, e noi dei paesi dell'Est abbiamo sempre la tendenza ad andare verso gli estremi. Questo purtroppo in ambito politico non ha creato delle situazioni particolarmente felici, ma invece in ambito culturale si, in varie forme di espressione artistiche come la letteratura, il teatro o la musica, e non abbiamo mai avuto paura di manifestare e descrivere l'emozione. In tanti paesi europei c'è invece una certa reticenza a manifestare le emozioni come se avessero di per se' qualcosa di negativo. In Francia, all'inizio della mia carriera di cineasta, mi sono domandato che tipo di attegiamento adottare nei miei film, finchè non mi sono lasciato andare ed ho deciso che non potevo reprimere me stesso per esprimere quello che sono. Alcuni definiscono i miei film “melodrammatici”. Forse è vero, nel senso che comunque sono film che si sentono liberi di esprimere le emozioni. Io credo che sia importante non provare vergogna per nulla di quello che si fa' e di quello che ci succede, siano eventi piacevoli e divertenti o siano tragici. L'importante è continuare a ricevere e dare emozioni".