Aggiornato il Maggio 25, 2007 da Il Guru dei Film
La diva cinese torna a lavorare con Zhang Yimou ad anni di distanza dalla fine del loro amore. Ambientato nella Cina del 928 dopo Cristo, ha al centro la coppia imperiale i cui componenti tentano reciprocamente di eliminarsi. Un film dove l’immagine e il furore visuale contano piu’ del racconto.
La città proibita sembra l’antitodoto che Zhang Yimou, il regista di Lanterne Rosse e La foresta dei pugnali volanti, ha scelto per allargare la distanza che esiste tra la sua triste gioventù vissuta nel clima repressivo e paranoico della Rivoluzione culturale cinese e la sua età adulta che lo vede finalmente libero di dare sfogo alla sua lussureggiante creatività e di fare del cinema la celebrazione di quella libertà artistica che ai suoi colleghi occidentali è stata garantita per così tanto tempo prima di lui.
La città proibita è innanzitutto una sinfonia di immagini. Pur essendo basato su una trama principale il film non ha il suo principale obiettivo nella narrazione. Riassumere tutte le sue storie e micro storie è impossibile. Ambientato nel 928 dopo Cristo, al tempo della dinastia Tang, il film ruota attorno al matrimonio tra un imperatore e sua moglie che è fondato sulla reciproca volontà di eliminare l’altro. Basandosi su una legge che proibisce alla moglie di rifiutare una medicina prescritta dall’Imperatore, alla donna viene somministrato un fungo che la rende progressivamente pazza (non per niente il titolo inglese è La maledizione del fiore dorato). A sua volta lei progetta di uccidere il marito durante una rivolta che scoppierà durante una cerimonia e per questo trova la complicità del piu’ sottomesso dei tre figli. A tutto ciò si aggiunge una prima moglie vendicativa, un amore probito e più d’una situazione incestuosa.
Aggiungete gli evidenti connotati psicoanalitici che stanno dietro la scelta di affidare il ruolo dell’Imperatrice a Gong Li, che è stata legata a Zhang Yimou da un amore da Cime Tempestose finito male. La telefonata del regista a Gong Li per offrirle la parte è stato il primo contatto dopo anni di reciproco silenzio. Il fatto e’ che gli elementi narrativi non sono che un pretesto per una sorta di delirio visuale in cui i costumi hanno praticamente la stessa importanza degli attori che, praticamente sepolti negli abiti di colori abbaglianti, sono chiamati a una mimica facciale da film muto.
La città proibita afferma il primato della meraviglia visiva sull’emozione del racconto. E poco importa se per suscitare meraviglia si pratica l’eccesso formale. Non a caso forse la sequenza più memorabile è una scena di guerra con due eserciti, in nero e oro che si affrontano in un campo con milioni di fiori gialli con una foresta di lance divisa dalle imponenti mura del Palazzo. Una delle poche occasioni in cui è chiaro che sarebbe stata splendida anche senza l’uso degli effetti computerizzati.
Paolo Biamonte