Aggiornato il Febbraio 9, 2012 da Il Guru dei Film
Il remake americano del recente omonimo film svedese di successo.
Svezia, L'anziano patriarca della potente famiglia Vanger incarica il giornalista Blomkvist, impegolato da poco in un contenzioso giudiziario, di indagare sulla scomparsa della nipote 16enne Harriet avvenuta 40 anni prima. Blomkvist accetta per cambiare aria ma anche incuriosito dei risvolti misteriosi della famiglia Vanger, al suo fianco, si aggiunge la giovane Lisbeth, una spostata e ribelle abile con i computer, incontrata dal giornalista nel corso della tortuosa indagine. La strana coppia si ritrova a sondare un terreno pericoloso e violento che affonda sin dai tempi dell'occupazione nazista.
Come accade sempre più di frequente negli ultimi tempi, il cinema americano cannibalizza le proposte migliori e con un certo potenziale, giunte da oltre confine, per adattarle a una platea mondiale, o globalizzata che dir si voglia. Si può parlare di remake istantaneo, dato che il film preso a riferimento è ancora “caldo”, datato 2009, a sua volta tratto da un best-seller letterario creato (postumo) da Stieg Larsson, il primo di una trilogia da poco terminata che si può definire un fenomeno svedese in tutto e per tutto. Una prima sorpresa è la scelta di ambientare ancora una volta la vicenda in Svezia, gli scenari sono in pratica gli stessi del film originale, intere sequenze non differiscono per tensione e dinamiche, sfugge quindi il senso dell'operazione che seppure confezionata con grande cura e professionalità risulta risaputa, per usare un eufemismo. Hollywood però mette in campo argomenti che non ammettono repliche: alla regia niente meno che David Fincher (“Zodiac”), lo sceneggiatore affermato Steven Zaillian (“Schindler's List”), e un budget di ben 90 milioni di dollari.
I titoli di testa dispongono bene, in pratica un assalto cyberpunk di computer grafica liquida e nera che lascia presagire suggestioni (quasi)fantasy che invece non avranno seguito, a martellare una cover di “Immigration Song” dei Led Zeppelin infonde ulteriori illusioni, si tratta quindi di un bellissimo esercizio di stile ma (corpo) estraneo rispetto al film. Per chi ha visto il film originale, di sicuro più compassato, inizia il gioco del confronto e bisogna ammettere che la nuova versione procede che è un piacere, la regia è impeccabile per direzione degli attori e la fotografia perfetta nell'inquadrare la cappa plumbea che tutto pervade. A impreziosire l'atmosfera ci pensa la colonna sonora elettro(industrial)-rock di Trent Reznor che ormai, dopo la felice collaborazione in “The Social Network”, pare avviato a un sodalizio artistico con Fincher ancora tutto da sviluppare. Nel cast si riconoscono alcuni volti noti, il vecchio Christopher Plummer (Vanger), la bionda Robin Wright (Erika Berger), mentre il giornalista della testata “Millennium” Blomkvist è interpretato da Daniel Craig, il quale si destreggia bene con il personaggio, reso più sexy rispetto al passato, in attesa di vederlo di nuovo nei panni di 007 nel prossimo “Skyfall”.
Gli occhi però sono tutti puntati sulla nuova Lisbeth Salander, nei precedenti film il ruolo aveva decretato la nascita di una stella, quella di Noomi Rapace, e anche in questo caso si può dire che non si rimane delusi per la (bella) prova della giovane Rooney Mara, si stenta a credere che è la stessa attrice vista di sfuggita nel precedente “The Social Network”: è la (ex)fidanzata che volta le spalle a Zuckerberg a inizio film. A detta di molti la Lisbeth “americana” appare più aderente alle pagine dei romanzi, di sicuro dal punto di vista della fisicità ci siamo, con diverse sequenze forti di nudo (quasi)integrale, il look punk-piercing sbiancato poi è perfetto, quasi incantevole, a suo modo appare più angelica/femminile rispetto alla più mascolina e selvaggia Noomi Rapace, insomma forse dipende dai gusti ma a questo punto è difficile dire chi sia la più indicata a incarnare Lisbeth Salander.
Pellicola disseminata da una violenza (brutale) sotterranea che esplode dietro a stanze chiuse (le sevizie del tutore ai danni di Lisbeth) e in asettici scantinati (il finale da torture-porn), l'orrore cammina parallelo ai personaggi, li travolge e determina le loro vite ma solo pochi conoscono la verità, lasciata nei recessi della mente, nella vana speranza di poterla un giorno accettare. Il male attraversa i decenni impunito, a volte nascosto nei ricordi di giovani traumatizzate, il potere (economico) si nutre di esso e lo tramanda da padre in figlio, come un'azienda di famiglia. La storia magari è ben nota ma si rimane ancora affascinati e si resiste alla lunga durata della pellicola, oltre due ore e mezza(!), dovuta anche a un finale diluito e rimandato a più riprese. Dopo questo film il brano “Orinoco Flow” di Enya ha un sapore diverso, scoprire il perché dentro una misteriosa villa, in cima a un'isola svedese. Buon remake di cui però ci si chiede a fine visione se era proprio necessario.
Titolo Originale: "The Girl with th Dragon tattoo"
Paese: U.S.A.
Rating:7/10