Aggiornato il Gennaio 27, 2006 da Il Guru dei Film
Arriva il film che Steven Spielberg ha dedicato alla tragica vicenda del commando israeliano incaricato dal Governo di uccidere i presunti organizzatori dell'azione del commando di terroristi palestinesi che, durante le Olimpiadi di Monaco del 1972, sterminò la squadra israeliana.
Steven Spielberg ha deciso di raccontare una storia terribile, accaduta più di trent'anni fa in diretta tv di fronte agli occhi del mondo. Munich prende l'avvio dalla clamorosa azione di un gruppo di terroristi palestinesi di Settembre Nero che, durante le Olimpiadi di Monaco, nel 1972, sequestrarono la squadra israeliana. Dopo un intervento dei corpi speciali della polizia tedesca, il commando uccise tutti gli atleti sequestrati riuscendo a lasciare la Germania. Questo è l'antefatto, proposto in bianco e nero nel film che poi ricostruisce secondo i canoni del thriller internazionale, tutto quello che accadde a causa di quella tragedia.
Il governo di Israele, guidato allora da Golda Meyer, organizzò una reazione durissima in due fasi. La prima fu una pesantissima rappresaglia militare ad ampio raggio. La seconda fu un'iniziativa senza precedenti affidata a un commando di pochi uomini incaricati di scovare ed eliminare i presunti responsabili dell'eccidio di Monaco. Una caccia all'uomo durata anni attraverso i quattro continenti al termine della quale 11 dei 13 obiettivi furono uccisi. Tra i protagonisti di quell'operazione battezzata Primavera della Gioventu' c'era Ehud Barak, il primo ministro israeliano che nel 2000 a Camp David, sotto l'egida di Bill Clinton, fu a un passo dal firmare gli accordi di pace con l'Autorità Palestinese di Yasser Arafat. Grazie anche alle gesta compiute in quell' Operazione, Barak è ancora oggi il militare più decorato della storia dell'esercito d'Israele.
Costruito con la struttura di un thriller internazionale, il film di Spielberg privilegia il racconto delle missioni degli uomini del commando, in una delle vicende più difficili mai raccontate da Hollywood. Spielberg ha compiuto lo sforzo evidente di evitare i toni dell'invettiva in un film che ricostruisce una vicenda che ancora oggi appartiene al mito dell'apparato militare israeliano ma che si porta dietro anche pesanti interrogativi. Non a caso, una delle frasi che più hanno irritato i più conservatori dei filo israeliani viene pronunciata da Golda Meier, interpretata da Lynn Cohen: "Ogni civiltà deve saper negoziare un compromesso con i propri valori".
Qualcuno ha addirittura accusato Spielberg di tradimento per alcuni passi della sceneggiatura firmata da Tony Kushner, uno degli autori fondamentali del teatro americano contemporaneo, vincitore del Pulitzer, autore di Angels in America, universalmente considerato l'erede di Shepard e Mamet. A scatenare le critiche degli ultras è uno dei temi di fondo di Munich che essenzialmente solleva dubbi sul valore della politica della vendetta, la legge dell'occhio per occhio a volte ribattezzata della risposta militare applicata con spietata ferocia da Golda Meyer.
Eliminare un presunto colpevole a diversi anni da Monaco è davvero così diverso da un omicidio? Si chiede il più tormentato dei protagonisti, Avner, l'agente del Mossad che guidò la squadra interpretato da Eric Bana col passare degli anni sempre meno convinto dell'utilità della Vendetta, che poi è il titolo del romanzo-verità di George Jonas che ha ispirato il film. A completare la squadra c'è il baldanzoso Steve (Daniel Craig, prossimo 007), il taciturno Carl (Ciaran Hinds), il titubante Robert (Mathieu Kassovitz), il quieto Hans (Hanns Zischler). Tutti alla fine saranno travolti da interrogativivi come "chi stiamo uccidendo esattamente? La rappresaglia e' giusta? E che obiettivo avra' a lungo termine?". Chi non ha dubbi è il controllore della squadra (Geoffrey Rush), simbolo di quell'Israele che non accetta l'idea di uno stato palestinese.
Riesce difficile immaginare che il regista di Schindler's List, che è anche il fondatore della Shoah Foundation possa prendere posizioni estreme contro Israele: tanto è vero che su di lui sono piovute le critiche di chi ha visto in Munich un'unilaterale denuncia della violenza del terrorismo medio orientale. Forse non è un contributo rivoluzionario, ma il fatto che il più importante esponente della comunità ebraica di Hollywood metta in discussione il valore della rappresaglia come strumento di lotta politica merita di essere sottolineato, soprattutto dopo aver letto sui giornali testimonianze autorevoli secondo le quali tra gli 11 obiettivi eliminati c'erano intellettuali scomodi per le prese di posizione ma lontanissimi dal terrorismo.
Ciò che è inconfutabile è che finora la guerra e la violenza hanno generato soltanto altre guerre e altra violenza (tra l'altro il capo del commando di Monaco di Settembre Nero è ancora vivo). Va dato atto a Spielberg di aver avuto il coraggio di rischiare di aprire una discussione su un tema che fino a poco tempo fa, per Israele era un dogma intangibile. Se davvero Munich favorirà la riflessione sulle conseguenze di atti di violenza unilaterale, allora diventerà un film da ricordare.
Paolo Biamonte
Il governo di Israele, guidato allora da Golda Meyer, organizzò una reazione durissima in due fasi. La prima fu una pesantissima rappresaglia militare ad ampio raggio. La seconda fu un'iniziativa senza precedenti affidata a un commando di pochi uomini incaricati di scovare ed eliminare i presunti responsabili dell'eccidio di Monaco. Una caccia all'uomo durata anni attraverso i quattro continenti al termine della quale 11 dei 13 obiettivi furono uccisi. Tra i protagonisti di quell'operazione battezzata Primavera della Gioventu' c'era Ehud Barak, il primo ministro israeliano che nel 2000 a Camp David, sotto l'egida di Bill Clinton, fu a un passo dal firmare gli accordi di pace con l'Autorità Palestinese di Yasser Arafat. Grazie anche alle gesta compiute in quell' Operazione, Barak è ancora oggi il militare più decorato della storia dell'esercito d'Israele.
Costruito con la struttura di un thriller internazionale, il film di Spielberg privilegia il racconto delle missioni degli uomini del commando, in una delle vicende più difficili mai raccontate da Hollywood. Spielberg ha compiuto lo sforzo evidente di evitare i toni dell'invettiva in un film che ricostruisce una vicenda che ancora oggi appartiene al mito dell'apparato militare israeliano ma che si porta dietro anche pesanti interrogativi. Non a caso, una delle frasi che più hanno irritato i più conservatori dei filo israeliani viene pronunciata da Golda Meier, interpretata da Lynn Cohen: "Ogni civiltà deve saper negoziare un compromesso con i propri valori".
Qualcuno ha addirittura accusato Spielberg di tradimento per alcuni passi della sceneggiatura firmata da Tony Kushner, uno degli autori fondamentali del teatro americano contemporaneo, vincitore del Pulitzer, autore di Angels in America, universalmente considerato l'erede di Shepard e Mamet. A scatenare le critiche degli ultras è uno dei temi di fondo di Munich che essenzialmente solleva dubbi sul valore della politica della vendetta, la legge dell'occhio per occhio a volte ribattezzata della risposta militare applicata con spietata ferocia da Golda Meyer.
Eliminare un presunto colpevole a diversi anni da Monaco è davvero così diverso da un omicidio? Si chiede il più tormentato dei protagonisti, Avner, l'agente del Mossad che guidò la squadra interpretato da Eric Bana col passare degli anni sempre meno convinto dell'utilità della Vendetta, che poi è il titolo del romanzo-verità di George Jonas che ha ispirato il film. A completare la squadra c'è il baldanzoso Steve (Daniel Craig, prossimo 007), il taciturno Carl (Ciaran Hinds), il titubante Robert (Mathieu Kassovitz), il quieto Hans (Hanns Zischler). Tutti alla fine saranno travolti da interrogativivi come "chi stiamo uccidendo esattamente? La rappresaglia e' giusta? E che obiettivo avra' a lungo termine?". Chi non ha dubbi è il controllore della squadra (Geoffrey Rush), simbolo di quell'Israele che non accetta l'idea di uno stato palestinese.
Riesce difficile immaginare che il regista di Schindler's List, che è anche il fondatore della Shoah Foundation possa prendere posizioni estreme contro Israele: tanto è vero che su di lui sono piovute le critiche di chi ha visto in Munich un'unilaterale denuncia della violenza del terrorismo medio orientale. Forse non è un contributo rivoluzionario, ma il fatto che il più importante esponente della comunità ebraica di Hollywood metta in discussione il valore della rappresaglia come strumento di lotta politica merita di essere sottolineato, soprattutto dopo aver letto sui giornali testimonianze autorevoli secondo le quali tra gli 11 obiettivi eliminati c'erano intellettuali scomodi per le prese di posizione ma lontanissimi dal terrorismo.
Ciò che è inconfutabile è che finora la guerra e la violenza hanno generato soltanto altre guerre e altra violenza (tra l'altro il capo del commando di Monaco di Settembre Nero è ancora vivo). Va dato atto a Spielberg di aver avuto il coraggio di rischiare di aprire una discussione su un tema che fino a poco tempo fa, per Israele era un dogma intangibile. Se davvero Munich favorirà la riflessione sulle conseguenze di atti di violenza unilaterale, allora diventerà un film da ricordare.
Paolo Biamonte