Funny Games – Il gioco della violenza

Aggiornato il Luglio 11, 2008 da Il Guru dei Film

Film: Funny GamesMichael Haneke rigira per il mercato Usa il suo film del 1997, cambiandone solo il cast – Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt e Brady Corbet – e l’ambientazione. La storia di due ragazzi dall’aria perbene che torturano una famiglia è una spietata denuncia dell’assuefazione dello spettatore al quotidiano spettacolo della violenza televisiva.


Funny Games è un film agghiacciante. Michael Haneke lo aveva girato nel 1997 e ora, con un’operazione volutamente ispirata a quella compiuta da Gus Van Sant con Psycho, lo ha rigirato ricalcando l’originale, con le sole eccezioni dell’ambientazione e del cast. Si sa che negli Stati Uniti hanno una distribuzione nazionale soltanto film made in Usa. Da qui l’idea del produttore di far conoscere il film al pubblico americano attraverso un remake dove l’azione si svolge in America e gli attori sono Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt e Brady Corbet. Funny Games è agghiacciante perché è violenza allo stato puro, il trionfo dell’atto gratuito.

 

Funny Games

 

La storia è semplicissima da raccontare: una famiglia alto borghese, papà, mamma e figlioletto biondo e bello, arrivano nella villa affittata per passare una vacanza andando in barca a vela sul lago. Nella casa dei vicini abitano due ragazzi educatissimi e cerimoniosi, vestiti come i tennisti degli anni ’30. Unica stranezza: entrambi indossano guanti bianchi. Quando bussano per chiedere delle uova, vengono ricevuti in casa senza alcun sospetto: le buone maniere sono così immediatamente bollate come un passe partout per le convenzioni borghesi. Una volta entrati comincia l’inferno. I due bravi ragazzi sono due psicopatici che torturano la famiglia senza pietà. L’intuizione geniale di Haneke è di mostrare l’orrore attraverso le vittime, lasciando che le azioni violente avvengano fuori campo. Tutto però contribuisce a creare l’orrore: la fotografia, i movimenti della camera che indugia sui dettagli, lo sguardo di chi non riesce a credere fino in fondo di essere davvero vittima di quella violenza senza senso e senza un motivo. Che arriverà alle estreme conseguenze in un finale che lascia senza parole. La parentela dei due bravi ragazzi con i drughi di Arancia meccanica è talmente ovvia da essere stata sfruttata dalla pubblicità del film. Che è un capolavoro di atmosfera costruito su una sofisticata operazione sull’ambiguità del linguaggio. Che comincia dal titolo: Funny Games vuol dire giochi divertenti, e chi trova divertente torturare una famiglia dovrebbe stare in manicomio. Ma Funny può anche significare strano. Prendiamo poi i due ragazzi: sono vestiti di bianco, hanno le facce da bravi ragazzi, studenti di college esclusivi e hanno modi affettatissimi. L’involucro immacolato di una violenza senza pietà. L’eleganza formale, cui corrisponde la ricchezza alto borghese dell’ambientazione, e la rinuncia al sangue e alle mutilazioni così in voga nel cinema contemporaneo, rendono il film di Haneke ancora più spietato e spaventoso di un horror. Anche perché la vera vittima di questo gioco è lo spettatore che si trova rappresentata in modo brutale la sua assuefazione alla violenza quotidiana quotidianamente regalata dalla televisione.
Paolo Biamonte