Aggiornato il Marzo 13, 2009 da Il Guru dei Film
Come si fa a non amare Clint Eastwood? Un repubblicano convinto amatissimo dal rock, per non parlare del jazz del quale è un appassionato e raffinato propagatore (ma uno dei suoi personaggi più belli e poco noti è un cantante country), un interprete e un autore che con il passare degli anni ha trovato una miracolosa felicità creativa raccontando le varie faccie della stessa realtà, la verità che cambia insieme al punto di vista di chi racconta la storia, il dolore che condiziona l’esistenza, l’ottusità e la ferocia delle istituzioni.
In Gran Torino, (un mitico modello della Ford) è Walt Kowalski, veterano della guerra in Corea, reazionario, razzista, vedovo e senza alcun rapporto con figli e nipoti. Il tipico elettore di George W. Bush, innamorato delle armi e della sua Gran Torino, cui dedica le cure che non ha mai riservato alla famiglia. Il buon Kowalski (lo stesso cognome del protagonista di Un tram che si chiama desiderio) si ritrova come vicini di casa una famiglia Hmong, che è la comunità originaria del Laos che ha combattuto i comunisti in Vietnam accanto agli americani e che si è insediata a Fresno (California), a Minneapolis-St.Paul e in Michigan, dove è stato girato il film.
Eastwood ha descritto Kowalski come ‘un personaggio davvero pazzo sempre pronto a trovare dei motivi per insultare qualcuno. Da piccolo ho conosciuto tante persone come lui’. Ora succede che ‘il pazzo’ Walt salvi il figlio dei suoi vicini dall’aggressione di una gang asiatica e diventi così oggetto della riconoscenza dei suoi vicini di casa. In fondo, anche un razzista come lui può accorgersi di non essere molto diverso dalla nonna Hmong che passa il suo tempo sul portico a inveire contro tutto e tutti. Alla fine il suo cuore si aprirà alla solidarietà e all’amicizia (lui che andava d’accordo solo con il barbiere), alle regole del buon vicinato e al piacere di serate in famiglia (Hmong).
Naturalmente la grandezza di Eastwood sta nel non raccontare questo percorso in modo banalmente buonista ma attraverso un’ottica che ormai possiamo chiamare sguardo Eastwood, dove trovano spazio l’ironia e l’autoironia, la solidarietà, una virile comprensione delle cose umane. E, ovviamente, uno strepitoso senso del cinema.
Paolo Biamonte